Se un velo ingannevole confonde somiglianza e identità, solo la maschera dell’ipocrisia può esistere tra l’Io e l’Altro

(di Andrea Bisicchia) Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, l’indagine sul concetto di identità si spostò dalla filosofia alla psicologia e alla psicoanalisi, col compito di capire in che modo la crisi di fine secolo avesse coinvolto la psiche dell’individuo, ovvero della persona, crisi che, in teatro, venne riferita al personaggio. Basterebbe pensare ai personaggi pirandelliani, la cui crisi identitaria corrispondeva alla crisi della coscienza, sempre più frammentata, tanto da non potersi rinchiudere in una forma, essendo stata deformata dalla percezione che permetteva a un individuo di cogliere il sentimento di un altro, snaturandolo.
Vitangelo Moscarda, protagonista di “Uno, nessuno, centomila”, è proprio l’esempio evidente del rapporto tra l’Io e l’Altro e del fatto che l’identità non esista se non come maschera.
Per la filosofia, a partire da Parmenide, l’identità apparteneva all’Essere, rivelandosi come valenza ontologica, tipica del contesto culturale di quel tempo, intriso di mitologia e teologia. Gli studi antropologici hanno spostato le indagini in ambito sociologico, distinguendo il singolo dal gruppo, l’individuale dal collettivo e immettendo il concetto di identità in un contesto storico, dimostrando, nel frattempo, che esistono altri modi per riformularlo, essendo, l’identità, una costruzione sociale, oltre che culturale, soggetta a continui mutamenti.
Nel volume “Sull’identità “, edito da Cortina, a cura di Francesco Remotti, Professore emerito di Antropologia culturale all’Università di Torino, si cerca di dare delle risposte all’uso sociale che vien fatto di questo concetto, con l’apporto di studiosi, provenienti dalla stessa disciplina, ma che procedono con approcci, stli, modalità diversi. Il volume, dedicato a Ugo Fabietti, è diviso in sei capitoli, con sei interventi, firmati da Francis Affergan, Silvana Borutti, Claude Calame, Mondher Kilani, Francesco Remotti e Ugo Fabietti, da cui si parte, col noto saggio dedicato all’identità etnica che si caratterizza per i suoi riti, i suoi saperi e, persino, per le sue tecniche fisiche e corporali.
Una riformulazione del concetto è proposta da Affergan che ritiene esserci una confusione se non addirittura un imbroglio sul modo con cui ci si accosta all’identità, la quale si manifesta nella proporzione in cui si nasconde, tanto da trovarci dinanzi a “un velo ingannevole” che risulta obbligatorio attraversare. Per Silvana Borutti, invece, è necessaria una sfida epistemologica tra identità e alterità, nel senso che bisogna cercare il Sé nell’Altro, dato che l’attrazione per quest’ultimo diventa funzionale a una dialettica e a una “convivenza interculturale dell’identità”.
Claude Calame si impegna a salvaguardare il concetto di identità da rischi di compromessi politici e da derive identitarie, rivendicando la sua fluidità, dovuta ai flussi migratori che hanno distrutto l’assetto identitario dei migranti, tanto da vedere deposta ogni forma di dignità, se la prima viene negata.
Per Kilani, è necessaria “l’identità dell’inclusione”, che preferisce chiamare “identità cannibale”, con riferimento all’incorporazione dell’Altro.
La proposta di Francesco Remotti, che di identità se ne intende, avendo pubblicato per Laterza “Contro l’identità” e “L’ossessione identitaria”, è quella di adottare la somiglianza al posto dell’identità, specie quando questa è imperfetta, poiché, sostiene, “noi rendiamo i simili identici, scartando momentaneamente ciò che li diversifica”, anzi, a suo avviso, quando si dice identità, questa non è altro che “manipolazione di somiglianze e differenze”.

Francesco Remotti (a cura di), “Sull’identità” – Editore Cortina 2021, pp. 236, € 21.
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