(di Marisa Marzelli) Per parlare di Manchester by the Sea, l’aggettivo che mi viene in mente è delicato. Delicato nel saper trasmettere, con precisione e persistenza ma senza invasività melodrammatica, sentimenti sfumati, stati d’animo, la sofferenza di certi ricordi. Sottotono e per sottrazione, senza insistere o cercare di suscitare la lacrima facile nello spettatore, il film si prende tutto il tempo che gli serve (due ore e mezza) ma non c’è un minuto di troppo.
Sceneggiatore e regista è l’americano Kenneth Lonergan, al suo terzo lungometraggio. Viene dal cinema indipendente e con questa prova ha conquistato sei candidature agli Oscar: miglior film, regia, sceneggiatura originale, attore protagonista (Casey Affleck), attori non protagonisti (Lucas Hedges e Michelle Williams). Ha già incassato il Golden Globe e l’Oscar inglese BAFTA per l’interpretazione di Casey Affleck, oltre ad altri svariati riconoscimenti; eppure nel turbinio di chiacchiere sui prossimi Oscar è quasi un film fantasma, se ne parla poco.
Lonergan aveva scritto la sceneggiatura per Matt Damon, che alla fine figura solo tra i produttori. Forse è stato un bene, perché nel suo essere una pellicola discreta e riflessiva nei tempi del racconto, ma anche con momenti allegri – come del resto è l’altalena della vita –, non ha bisogno del glamour di un divo. Somiglia piuttosto a uno di quei prodotti inglesi dell’epoca d’oro del Free Cinema, così intensi nel riuscire i cogliere e trasmettere i modi di essere e i fardelli della classe operaia.
La Manchester del titolo è una cittadina sulla costa del Massachusetts. Il protagonista Lee (Casey Affleck) l’ha lasciata da tempo e ora è impiegato come tuttofare in un vecchio palazzo di Boston. Controlla la caldaia e svolge lavoretti di riparazione negli appartamenti. Ma sembra che niente lo interessi veramente. Dovrà tornare a Manchester perché alla morte prematura del fratello maggiore viene designato tutore del nipote adolescente (Lucas Hedges). Lee è spaventato da una responsabilità così importante, anche perché non è ancora riuscito a liberarsi da quel macigno del senso di colpa per un incidente di cui si ritiene responsabile, capitato tempo prima. E che nel film verrà svelato più avanti. Anzi, all’inizio non si capisce bene dove il plot voglia andare a parare. I flashback di lunghezza variabile che si susseguono sveleranno a poco a poco anche gli antefatti.
Il nipote è un ragazzo sveglio, addolorato e smarrito per la morte del padre – ma non per questo estraneo ai problemi e agli ormoni della sua età (è ad esempio impegnatissimo nel tentavo di portarsi a letto due compagne di scuola, una all’insaputa dell’altra) –, mentre lo zio ricorda i tempi spensierati della pesca, durante le gite in barca; un’immagine che apre il film e lo chiude, conferendogli un andamento circolare.
Difficoltà di esprimere i sentimenti profondi, dolore, perdita, confronto con i fantasmi del passato, senso di colpa, elaborazione del lutto sono gli elementi centrali di un racconto attento e credibile anche nella descrizione degli ambienti e nei personaggi di contorno. Il tutto è molto compatto nel comunicare struggimento e passione trattenuta. Casey Affleck, fratello minore e più dotato sul piano recitativo del fratello Ben (il quale invece si è sinora rivelato un ottimo regista, basti ricordare Argo), è perfetto, tra mestizia e sottile insofferenza. Bravi e credibilissimi anche tutti i comprimari, a partire dall’adolescente Lucas Hedges nel ruolo del nipote. Quella descritta in Manchester by the sea è un’America diversa da come appare nella maggior parte dei film a stelle e strisce, perché descrive un ambiente operaio normale spesso del tutto trascurato dal cinemama instream, che ha bisogno di situazioni nette. Ma la fluidità narrativa, lo scavo psicologico e la sincera ricerca d’introspezione allontanano anche il rischio di una pellicola documentaristica.
Infine una nota più generale; la critica più attenta ha salutato Manchester by the sea come una boccata d’aria fresca, una scoperta. E pensare che qualche decennio fa film con un impianto narrativo solido e capaci di emozionare nel profondo lo spettatore erano, se non la norma, merce non proprio rara.
Sei candidature agli Oscar. Eppure se ne parla poco. Quasi un film fantasma. Ma è come una boccata d’aria fresca
15 Febbraio 2017 by