Shakespeare in originale. La favola bella e dolorosa d’un re più geloso di Otello e d’una regina che ne muore (forse)

A WINTER’S TALE by Shakespeare,          , Writer - William Shakespeare, Director -  Declan Donnellan, Designer -  Nick Ormerod , Cheeck by Jowl, 2015, Credit: Johan Persson/

“The Winter’s Tale” di William Shakespeare. Regia di Declan Donnellan. Foto: Johan Persson.

MILANO, giovedì 18 febbraio(di Paolo A. Paganini) Pochi teatri si sottraggono, ormai, a una legge di mercato che sembra imporre lo sbrigativo imperativo mordi e fuggi. Va in scena uno spettacolo? Dopo pochi giorni eccolo emigrare per altre piazze. Quando ci sono. Ma anche se non ci sono. In provincia le compagnie ospiti son sempre state così. È una prassi consolidata dai tempi degli scavalcamontagne. Ma le grandi città erano sempre generosamente ospitali, anche perché, se uno spettacolo valeva, il pubblico ci stava. Oggi, dicono, spesso non tiene più di quattro, cinque giorni, perché l’affluenza non regge più a lungo. Non per bulimia, ma per plateale svogliatezza. La spiegazione è molto più complessa, ma fermiamoci qua.
Per esempio, stupisce, ora, che rimanga in scena così poco uno spettacolo come “The Winter’s Tale” (Racconto d’inverno), di Shakespeare, al Piccolo Teatro Strehler. Due deliziosi tempi (uno di un’ora e venti e l’altro di un’ora e cinque), in purissima lingua inglese, che io non capisco, ma così giurano i tanti entusiasti del colonialismo anglofono. Quindi, almeno per coerenza, dovrebbero arrivare a teatro file di appassionati e di cultori linguisti, soprattutto tanti studenti fanatici dello “yes”. E magari arriveranno.
La Compagnia shakespeariana di Declan Donnellan (già stata al Piccolo con “Cymbeline” nel 2007 e con “Macbeth” nel 2010), è celebrata al di là e al di qua della Manica. Vanta una compagine di quindici interpreti gioiosamente scatenati (talvolta anche troppo) eppure religiosamente rispettosi del testo shakespeariano, qui riambientato in adattamenti audacemente contemporanei, in abiti moderni e jeans, tra foghe rockettare, pose in formato selfie, nevrotiche spavalderie. Un po’ stride, ma non dispiace.
“Racconto d’inverno”, già visto nel 2002 con la regia di Guicciardini, e più recentemente all’Elfo/Puccini, con Bruni/De Capitani, è una bella e complessa favola triste e dolorosa, dove c’è un sovrano più geloso di Otello, che condanna a morte la casta e innocente consorte, accusata d’un assurdo adulterio con l’amico fraterno, mentre amici e consiglieri tentano di riportarlo alla ragione. E intanto la pargoletta, frutto del presunto adulterio, viene abbandonata in lande desolate e lontane, tra lupi, orsi e stridor di denti. Viene salvata da un pastore, e cresciuta come una zotica tra scene di vita bucolica. Ma nuove procelle si addensano sull’agreste orizzonte, amori tormentati, padri ingiusti, implacabili vendette degli dei, regine che muoiono di dolore, ma che infine resuscitano, e i re rinsaviscono, e i giovani coronano i loro sogni d’amore. E così sia.
Lo spettacolo viene replicato solo fino a domenica 21. Chi vuole ne approfitti. Merita. Anche solo da un punto di vista formale e per merito di una regia non originalissima (il pensato, per esempio, diventa monologo e intanto paralizza l’azione degli altri), ma sempre generosa e sorprendente, dove tutto avviene a vista, su una scena essenziale con tre panche, un modesto traliccio a pannelli smontabili, e tanto entusiasmo. E con un quadro finale che ha la magia d’un rito religioso. Applausi premianti alla fine per tutti.