Simon Boccanegra. Allestimento trito? Ma chi se ne importa se ci sono cantanti come Sartori, la Stoyanova e Leo Nucci

Una scena del “Simon Boccanegra”, alla Scala, con Leo Nucci, Fabio Sartori e Krassimira Stoyanova.

MILANO, venerdì 9 febbraio ► (di Carla Maria Casanova) Nel libretto purtroppo scadentissimo – e si erano messi in due a sistemarlo, prima Piave poi Boito! – c’è una frase del coro che dice: “Il suo commosso accento / sa l’ira in noi calmar” Lasciamo stare la seconda frase (“vol di soave vento / che rasserena il mar) che decade senza remissione. Ma quella frase là, la prima, attribuita dal popolo al Doge, alias Boccanegra, ha avuto ieri sera un riscontro assolutamente realistico sul pubblico, che si è commosso.
Il Doge è Leo Nucci . “Il punto sta nel credere a quello che dici. Se non ci credi, non ci credono nemmeno gli altri.” Per Leo Nucci, sono 30 anni di Simone. “Alla Scala – precisa lui – perché l’avevo già cantato prima”. Alla Scala fu nel 1988, edizione diretta da Georg Solti in forma di concerto per uno sciopero degli attrezzisti. Poi, sempre Nucci nell’allestimento Tiezzi/Bisleri/Buzzi, nel 2010, 2014, 2016, alternandosi nel ruolo protagonista con Placido Domingo.
Dice qualcuno “Ci hanno dato la Bohème di Zeffirelli per quarant’anni. Potevano mantenere ancora l’insuperabile allestimento Strehler/ Frigerio“(cinque riprese dal 1971 all’82). No, non potevano. Le scene furono bruciate. Sì, bruciate. Almeno le avessero vendute. Forse cadevano in pezzi.
Qui ci rivediamo questo allestimento severo, lineare, bruttino. Ricorda Delvaux/Magritte, soprattutto per il gioco di luci. È di effetto la scena del Consiglio, rosso e oro, sovrastata dall’enorme riproduzione del minaccioso “Naufragio della speranza” di Caspar Friedrich. Regìa tradizionale, vedi rétro, come il disperato gettarsi a terra di Paolo Albiani quando si vede scoperto (i presenti dovrebbero ignorarlo).
Ma saltiamo lo spettacolo scenico.

Dalibor Jenis (Paolo Albiani) e Dmitry Belosselskiy (Jacopo Fiesco) – Foto Brescia/Amisano

Questa volta si parla di musica e di esecuzione. E che musica! Un Verdi meraviglioso, che piace meno di Traviata, purtroppo (molti palchi e posti vuoti ieri alla prima) eppure degno di figurare ai primissimi posti della intera produzione verdiana. E che esecuzione.
Di Boccanegra Leo Nucci ha fatto un suo incontestabile cavallo di battaglia. Lo ha approfondito e scavato in ogni sua piega, con fortissima carica umana, malinconica e dolce, ma anche con l’autorevolezza del ruolo sociale e di potere che occupa. Di lui si intende ogni singola parola, senza che questa dizione diventi mai artificiosa.
Lo stesso va detto per la bulgara Krassimira Stoyanova (Amelia/Maria) pronuncia italiana perfetta, voce sempre compatta, senza oscillazioni né nel registro basso né in quello acuto. Qui, anzi, ricchezza di vibrazioni e filati inestinguibili.
E quanto bello il timbro limpido, smagliante di Fabio Sartori (Adorno). Si sarebbe tentati a non perdonargli la stazza così invasiva, ma con questo canto sopraffino gli si perdona tutto. Ci ha fatto pensare a quel grandissimo che fu Gianni Raimondi. In questo Simone, dopo Nucci, l’emozione più grande, oramai andata in dimenticanza, è stata ascoltare le due voci (soprano e tenore) come han da essere. Dunque ci sono ancora, altro che storie.
Sotto la bacchetta di Myung-Whun Chung tutto è funzionato a perfeziona, con eccellente senso del momento scenico, tensione drammatica, coinvolgimento continuo e trascinante. Orchestra e coro fanno capo a lui con devozione. Gran successo.

Teatro alla Scala – Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi. Dirige Myung-Whun Chung. Regìa Federico Tiezzi. Protagonista Leo Nucci. Repliche 10, 13, 16, 20, 22 febbraio, 1, 4 marzo.

www.teatroallascala.org