MILANO, venerdì 7 novembre
(di Emanuela Dini) È stata definita la “commedia perfetta”. È l’ultima commedia di Oscar Wilde (1854-1900), andata in scena per la prima volta nel 1895, mentre Wilde era in carcere, condannato a due anni di lavori forzati per omosessualità e corruzione di minorenni. A prima vista è un’allegra farsa, un gioco pirotecnico di intrighi, amoreggiamenti e bugie, ma è anche un testo brillante che mette alla berlina l’ipocrisia e il falso perbenismo dell’Inghilterra vittoriana e si chiude con la celebre battuta “Ho scoperto l’importanza di chiamarsi Ernesto”. Battuta che racchiude il senso della commedia ma che, in italiano, perde gran parte del suo significato. Il titolo originale (e la chiusura della commedia) in inglese è infatti “The importance of being Earnest” e approfitta di un gioco di parole impossibile da tradurre, dove il verbo being significa “essere” e il nome proprio Ernest si pronuncia allo stesso modo dell’aggettivo earnest (serio, affidabile, coscenzioso). E tutta la commedia è un’ironica e elegante accusa a quell’alta società inglese dove l’apparire conta più dell’essere, i fidanzamenti vengono decisi in base alle migliaia di sterline portate in dote, la sincerità e l’onestà sono delle perfette sconosciute e solo dopo mille fraintendimenti si scopre il valore del “being earnest” (aggettivo, non nome proprio).
La versione andata in scena al Teatro Franco Parenti con la regia di Geppy Gleijeses (che interpreta anche il protagonista, Jack-Ernesto), Lucia Poli (Lady Bracknell) e Marianella Bargilli nel ruolo maschile di Algernon, aristocratico squattrinato e irriverente, alter ego di Oscar Wilde, è la ripresa, attualizzata, dello storico allestimento del 2000/2001 del Teatro Stabile di Calabria.
Due ore di spettacolo (due tempi con intervallo di 15 minuti) che scorrono in un attimo; scenografie apparentemente tradizionali e rassicuranti, ma con qualche tocco inquietante, come il martirio di San Sebastiano nel salotto aristocratico di Algernon o il bosco “animato” della casa di campagna; recitazione e tempi comici da manuale, con ammiccamenti e ironie che non scadono nel macchiettismo; bei costumi e particolari perfetti negli arredi ma, a voler proprio cercare il pelo nell’uovo, peccato solo la testa da clown del maggiordomo nel secondo tempo, un particolare sopra le righe di cui, forse, si poteva fare a meno.
Pubblico divertito, sorrisi a più di una battuta, grandi applausi, Gleijeses e Lucia Poli attraversano il palcoscenico con grandissima maestria, disinvoltura e divertimento, Marianella Bargilli ha i capelli corti e i riccioli ribelli proprio come Alfred Douglas, l’uomo che fece perdere la testa, l’onore e la vita a Oscar Wilde.
“L’importanza di chiamarsi Ernesto” di Oscar Wilde, con Geppy Gleijeses (anche regia) e Lucia Poli. Teatro Franco Parenti, Via Pier Lombardo 14, Milano – Repliche fino a domenica 16