Smisurato, affascinante. Un Maestro, un fenomeno, un genio. Così perfetto da sembrare “infernale”. Cioè Strehler

(di Andrea Bisicchia) Sara Chiappori non è soltanto una giornalista, ma anche una ricercatrice, nel senso che non si limita alla notizia, perché cerca di approfondirne le origini e le finalità, inoltre è una passionaria del teatro, incontentabile e, a volte, anche profetica. Nel volume da lei curato, “Strehler. Il gigante del Piccolo” , Mimesis Edizioni, riunisce ventidue interviste fatte ad attori, registi, collaboratori di Strehler, precedute da una prefazione di Maurizio Porro, conoscitore profondo del Maestro, e da una introduzione di Piero Colaprico, secondo il quale raccontare Strehler non è stata una necessità, dovuta al centenario, bensì una esigenza legata al periodo della pandemia, quando non si faceva teatro e gli artisti erano più disponibili a parlarne e, pertanto, liberi nel raccontare storie, vicende, amori, spettacoli geniali di Strehler, rimasti nella loro memoria e nella nostra.
Dal libro della Chiappori viene fuori, non solo il ritratto artistico, ma anche umano del grande regista, il suo fascino, i suoi scandali, il suo modo di interpretare i testi, di utilizzare la luce, di costruire i personaggi, oltre che la maniera con cui collaborava con gli scenografi, ai quali chiedeva l’impossibile, specie durante la realizzazione degli spettacoli sul palcoscenico angusto di via Rovello che, misteriosamente, diventava immenso con le sue regie, quando, goldonianamente, faceva entrare il mondo nel teatro, quando la rappresentazione diventava più importante della scrittura, benché il Maestro dicesse di essere sempre fedele al testo.
Di una cosa era certo, che tutto dovesse nascere sul palcoscenico e che le prove, pur faticose, lente, ossessive, per la ricerca dei dettagli, potessero essere anche divertenti, perché spronavano la fantasia e l’immaginazione, Ezio Frigerio diceva che “aveva l’occhio assoluto e un senso musicale della luce”.
La storia dei suoi spettacoli si intrecciava con quella degli amori, quello inquieto con Ornella Vanoni, quello appassionato per la sua “regina”, Andrea Jonasson che ne racconta le fragilità, le attese tormentate in casa, durante le sue “Prime”, con le tapparelle abbassate, la profondità nel “leggere” i testi e, infine, le difficoltà degli ultimi anni, oltre che gli errori che solo un genio poteva permettersi.
Non mancano gli amori professionali, quelli per i suoi attori, come Giulia Lazzarini, la sua pupilla, o il fedelissimo Giancarlo Dettori che, insieme a Franca Nuti, lo ascoltavano fino alle sei del mattino, o come Ferruccio Soleri che Strehler aveva fatto conoscere in tutto il mondo, senza che gli spettatori avessero visto il suo volto.
Poi ci sono i giovani come Ottavia Piccolo che ne ricorda l’aggressività e la potente seduzione, come Monica Guerritore che racconta la nascita del personaggio di Ania accanto alla Ljuba di Valentina Cortese, come Gabriele Lavia che lo considerava Dio, mentre lui si sentiva Adamo.
Non mancano le testimonianze di registi come Louis Pasqual che lo riteneva “il migliore regista del mondo”, sempre alla ricerca di qualcosa di profondo, ne seguiva gli insegnamenti, pur con la consapevolezza che la genialità è difficile da trasmettere, o come Andrée Ruth Shammah che ricorda di averlo diretto nell’Agamennone, primo testo della “Orestea”, tradotta da Emanuele Severino, in quanto Franco Parenti, essendo caduto, durante le prove, ed essendosi rotte delle costole, dovette attendere un po’ per recitarlo, dice Andrée: “Era così matto, così smisurato, ma aveva un enorme senso della disciplina e del rigore”.
Poi ci sono le testimonianze dei collaboratori più vicini, come Carlo Fontana che lo considerava un mito, perché, per lui, il Maestro, era Paolo Grassi, come Giovanni Soresi, testimone diretto, non solo di tutti gli spettacoli, ma anche della sfida più importante, riguardante la nascita del “Teatro d’Europa”, nel 1987. Giovanni lo considerava un leone in gabbia, oltre che un grafomane.
Non poteva mancare la testimonianza di Sergio Escobar che nel 1979, come responsabile del PSI, ne curò la campagna elettorale per le elezioni europee, ricorda che “doveva sottrargli il microfono perché sforava tutti i tempi”. Artisticamenre lo considerava una macchina perfetta e, quindi, infernale. Ci sono tante altre testimonianze, nel volume della Chiappori, come quelle di Maurizio Micheli, per il suo spettacolo “Mi voleva Strehler”, campione di debutti e di incassi, o dei compaesani come Renato Sarti e Paolo Rossi.
Infine, come postfazione, si può leggere l’intervento di Claudio Longhi che, non avendolo conosciuto professionalmente, ne scrive un breve saggio, non tanto per celebrarne la grandezza, quanto per interrogarsi su “quali altri geniali intuizioni sarebbe stata arricchita la sua carriera”, se non fosse stata interrotta dalla morte.

Sara Chiappori (A cura di), “Strehler. Il gigante del Piccolo”, Mimesis Edizioni 2022, pp. 168, € 17

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