
“Minetti – Ritratto di un artista da vecchio”, regia di Roberto Andò. Foto Franco Lannino/Studio Camera
MILANO, mercoledì 1 febbraio ► (di Paolo A. Paganini) Credo, a memoria, di aver visto la prima volta “Minetti – Ritratto di un artista da vecchio”, di Thomas Bernhard, all’inizio degli anni Ottanta (l’opera è del ’76), interpretato da un indimenticato Gianni Galavotti, che, ricordo, tormentò l’anima degli spettatori in un’angoscia di amare sensazioni, ancorché attenuate da una sarcastica ironia sulla vita, sull’arte, sul pubblico, sui classici (eccetto l’amatissimo Lear, sul quale non si scherza, come vedremo).
Poi, altre opere di Bernhard non sono passate invano sulle nostre teste, da “La brigata dei cacciatori” (Bonacelli-Milani-Simoni) a “Ritter, Dene, Voss” (Popolizio-Paiato-Mandracchia; e Bonaiuti-Confalone-Cecchi), e poi: “L’ignorante e il folle” (Bruni-Marinelli-Toracca-Agustoni), “Alla meta” (Nuti-Gherardi), “Il teatrante” (Paolo Graziosi; e Franco Branciaroli), “Il riformatore del mondo” (Gianrico Tedeschi), fino a “L’apparenza inganna” (Sandro Lombardi; e – ultimo- Roberto Trifirò). Tutte opere che rispecchiano la vita tormentata di Thomas Bernhard, nato come figlio dello scandalo, cresciuto come un disgraziato personaggio di Dickens (amato e compreso solo dal nonno), inseguito tutta la vita dalla tubercolosi e dalle innumeri denuncie e processi per offese e diffamazioni. E tutte opere, quelle citate, che hanno lasciato segni profondi negli appassionati di teatro.
Ed ora ecco, a chiudere il cerchio, ancora “Minetti – Ritratto di un artista da vecchio”, nell’interpretazione, al Piccolo Teatro Grassi, di Roberto Herlitzka. Il dramma (quasi un’ora e mezzo senza intervallo) è un amaro ed esaltato monologo, uno sfogo dell’anima, nella hall d’un albergo di Ostenda, in una notte da tregenda fra tuoni e bufere di neve, e fra maschere e ubriachi nella notte di San Silvestro, che orbitano indifferenti intorno a lui, anonime comparse umane nella follia della vita.
In cielo lo scatenamento della natura, in terra le pazzie dell’ultimo dell’anno, e nella voce e nell’ansia del protagonista i segni del turbamento mentale.
Minetti è lì su appuntamento di un direttore di teatro, che l’ha convocato per fargli interpretare “Re Lear”, dopo trent’anni di inattività, dopo essere stato scacciato dalla città di Lubecca, che aveva montato contro lui la stampa ostile e un ingiusto processo, “perché mi ero negato alla letteratura classica… Per ovvia conseguenza naturale un individuo come me perde ogni processo, mentre la società corrotta vince ogni processo… Io ho perso il processo perché mi sono negato alla classicità… E mi sono negato in trent’anni di segregazione...”.
Ma ora, vecchio, stanco, incattivito, è pronto a riprendersi la scena. È lì , con la vecchia valigia d’attore, che contiene la maschera di Lear, in quell’albergo di goderecci e avvinazzati clienti, in attesa del direttore di teatro, che l’ha convocato. O forse crede di essere stato convocato. Tant’è che, tra bufere di neve e scherni d’ubriachi, cadute le illusioni dell’attesa, la conclusione sarà quietamente tragica.
Orbene, questo “Minetti”, da una parte è un monumentale omaggio di Bernhard all’amatissimo attore Minetti, ideale interprete di tante sue opere e da lui considerato il vero, unico, e più grande attore del secolo, l’attore per antonomasia; dall’altra parte è un’autobiografica messa a nudo dell’anima dell’autore stesso, anche lui, come nella sua invenzione drammaturgica, messo al bando dagli uomini e dal male di vivere.
In buona compagnia con la “brigata” di tanti critici, nessuno disconoscendo la sofferta orignalità dell’opera di Thomas Bernhard, si potrebbe forse riconoscere alla lontana alcuni riferimenti a Beckett, a Ionesco, a Kafka. Ma rimane così lontano dai loro personaggi e dalla loro poetica, che onestamente diventa impossibile un rapporto di vicinanza. È la filosofia della vita che cambia radicalmente E che rende Bernhard così singolare e autentico. Eppure ci piace, per richiami lontani, accettare un semplicistico rapporto di parentele, che, in certo senso, ci permette di divertirci con l’equazione di un Godot, visto da Bernhard, visto da Minetti, visto da Herlitzka, ciascuno rispettando l’idea primigenia e irriducibile di una vita di ossessioni, di turbamenti, di raffinati tormenti, di simboli di morte.
Eppure anche Minetti attende. Come Godot. Ma se in Beckett non vien meno la speranza nell’attesa, in Bernhard la sua angoscia di vivere porterà Minetti a congelare ogni speranza in una bufera di ghiaccio sulla costa atlantica vicino a Ostenda…
Roberto Herlitzka, diretto da Roberto Andò, crea un Minetti in preda a una dissociata esaltazione, in una fantasmica atmosfera di anonimi personaggi d’albergo, già morti dentro l’anima, senza saperlo, e lui, Minetti, che parla e riflette sul senso della vita e del teatro e della gente, in un ossessivo monologo, dove tutti tacciono pensando ad altro, il portiere d’albergo, un cameriere, una vecchia signora, una ragazza vogliosa di vita, tutti sopportando di malavoglia quel povero pazzo con la valigia, i suoi farneticanti discorsi, i suoi impietosi giudizi su quella società spaventata. “E anch’io sono perennemente spaventato… E intanto il mondo – in questa pattumiera spirituale – si avvia verso la catastrofe…”. Dopo quarant’anni, sembra scritta oggi.
Applausi di bella e convinta stima per tutti alla fine.
“Minetti – Ritratto di un artista da vecchio”, di Thomas Bernhard. Regia Roberto Andò. Con Roberto Herlitzka, e con Verdiana Costanzo, Matteo Francomano, Nicolò Scarparo, Roberta Sferzi, Vincenzo Pasquariello. Scene e luci Gianni Carluccio. Produzione Teatro Biondo Palermo – Repliche fino a domenica 5. Piccolo Teatro Grassi, via Rovello 2, Milano.
Informazioni e prenotazioni 0242411889
www.piccoloteatro.org