
“Il berretto a sonagli”. Nella foto: Gianfranco Jannuzzo, Anna Malvica, Emanuela Muni, Alessandra Ferrara
MILANO, venerdì 11 ottobre ► (di Emanuela Dini) – “Il berretto a sonagli” di Pirandello è la storia di un tradimento coniugale, ma, ancora di più, della girandola di ipocrisie, convenzioni sociali, omertà, umiliazioni, dignità tradite e calpestate, sussulti di orgoglio e verità svelate, ma poi subito rinnegate, nel nome di un “decoro” da salvare a tutti i costi. In una Sicilia di inizio secolo dove le donne venivano chiuse in casa sotto chiave e obbedivano a qualsiasi desiderio o imposizione dei mariti.
La storia è fin troppo schematica: famiglia altoborghese siciliana, la moglie, Donna Beatrice, sospetta che il marito abbia una tresca con la giovane e bella moglie dell’umile e anziano scrivano Ciampa, al servizio del marito.
Decisa a smascherare la coppia e incurante dello scandalo che ne può derivare, la donna convince il commissario di polizia a sorprendere gli amanti e arrestarli. Per avere campo libero, allontana il povero Ciampa che teneva la moglie chiusa in casa sotto chiave, e lo manda a recuperare dei gioielli impegnati al Banco dei pegni per coprire i debiti di gioco del fratello Fifì.
Quando Ciampa ritorna in città, dove lo scandalo è oramai deflagrato anche se si cerca di soffocarlo, ha un sussulto di dignità e in un accorato e dolente monologo – il pezzo di bravura della commedia, che in passato è stato recitato da moltissimi grandi attori, tra cui Eduardo De Filippo, Salvo Randone, Massimo Troisi – accusa Donna Beatrice di non essersi preoccupata di lui, di avere calpestato la sua reputazione e i suoi sentimenti, di averlo messo alla berlina davanti a tutti, come se l’avesse mandato in giro con un “berretto a sonagli”, marchio di infamia e patente da cornuto che autorizza scherno e offese. E svela l’amara realtà di una società schiava delle convenzioni sociali e dei falsi perbenismi dove la verità non si deve dire, oppure, chi lo dice, è un pazzo.
“Lo sappiamo tutti qua, che Lei è pazza. E ora deve saperlo tutto il paese. Niente ci vuole a far la pazza, creda a me! Gliel’insegno io come si fa. Basta che Lei si metta a gridare in faccia a tutti la verità. Nessuno ci crede, e tutti la prendono per pazza!”
Nell’allestimento presentato al Teatro Manzoni, si è recuperato il copione originale (scritto da Pirandello nel 1916 in siciliano, e solo nel 1923 rivisto e riscritto in italiano) inserendo scene che erano state tagliate ed evidenziando il lato comico della commedia.
La compagnia regge meravigliosamente il gioco, disegnando i personaggi siciliani con garbo, ironia e comicità e Gianfranco Jannuzzo è un Ciampa forse fin troppo bello e aitante, più sanguigno e furioso che umiliato e dolente e che passa dal servilismo “Ai vostri ordini, Signora” al disincanto, dall’offesa alla riscossa senza mai abdicare alla sua dignità, anche quando viene calpestata.
Due tempi di un’ora ciascuno, con intervallo di 20 minuti, con frequenti e meritati applausi a scena aperta hanno decretato il successo della serata.
Una sola annotazione di stampo squisitamente tecnico: gli attori erano -ahimè – tutti microfonati, come oramai è sciaguratamente abitudine a teatro, e l’impianto audio e luci ha fatto i capricci. Col risultato di amplificare esageratamente alcuni suoni, alzare a livelli innaturali il volume delle voci e, soprattutto, appiattirle a un tono monocorde senza dare risalto a modulazioni e tonalità e mortificando così la bravura indiscutibile degli attori. Peccato.
“Il berretto a sonagli” di Luigi Pirandello. Con Gianfranco Jannuzzo (Ciampa), Emanuela Muni (Beatrice), Alessio Di Clemente (Fifì), Rosario Petix (Commissario Spanò), Alessandra Ferrara (Fana), Carmen Di Marzo (Saracena) e la partecipazione di Anna Malvica nel ruolo della signora Assunta. Regia di Francesco Bellomo. Al Teatro Manzoni, via Manzoni 42, Milano. Repliche fino al 27 ottobre.