SPECIALE TEATRO 4) Intrighi vaticani. Re Lear: un papa re dei nostri giorni. Abdica e lascia il potere ai propri figli!

7.8.16 collage learVENEZIA, domenica 7 agosto ► (di Paolo A. Paganini) Re Lear ha tre figlie, Goneril, Regan e Cordelia.
E si sa quel che succede.
Il vecchio re decide di dividere il regno di Britannia in tre parti, riservando il boccone migliore per la figlia che gli professi l’amore più grande. Solo Cordelia, fanciulla riservata e dal comportamento discreto, non se la sente di gareggiare con le avide sorelle. Rifiuta quella stolida richiesta d’affetto, affermando di amare quanto il dovere richiede. Troppo poco. E viene diseredata dal re infuriato. In parallelo si svolge un’altra tragedia. Il duca di Gloucester ha due figli: il virtuoso Edgar e il perfido Edmond. La storia, com’è noto, procede fra pugnali e veleni. Alla fine i vecchi Lear e Gloucester si rendono conto dei loro tragici errori. Troppo tardi. Amen.
E veniamo dunque a questo polacco “Re Lear” di Shakespeare, visto all’Arsenale veneziano, tra corruschi bombardamenti di suoni demenziali, mentre un Lear, ora in video ora microfonato con voce fuori campo, imperversa come tragica voce d’un fato crudele. Tutti gli altri personaggi intanto, amplificati o registrati, seguiti da fotocamere, dall’alto, dal basso, da sotto, di fianco, tra gabbie di plexiglas, letti d’ospedale, in ieratiche posizioni o in contorcimenti rock, portano a termine la loro missione di morte e tradimenti in uno scombussolato straniamento di voci che nel frastuono non si capisce da chi provengano esattamente. Il tutto ovviamente in polacco, interpreato da una generosa compagnia di Cracovia diretta da Jan Klata.
Non ne siamo certo turbati. Abbiamo fatto il callo a tanti avanguardismi sperimentali, e ne abbiamo viste, perbacco, di mistificazioni da classici. Quello che ci ha massimamente infastidito è vedere questo “Lear” ambientato in Vaticano, con tutti i personaggi in prelatizie vesti rosse, fra sedie gestatorie, tiare e zucchetti, più diavoli che angeli. Forse questi polacchi han voluto scrollarsi di dosso il pesante fardello del ricordo di papa Wojtyla.
Qualcuno in Polonia s’è offeso. Eppure, non è un’operazione blasfema. È solo inutilmente ridicola. È ridicolo seguire le dolorose istorie di figli rispettosi, di stolidi padri e di maledette progenie: tutti stonati in quegli abiti talari, tanto da sembrare un’irridente mascherata di carnevale in tempi di quaresima. E l’assurda ridicolaggine è tanto più accentuata dalla constatazione d’un testo rispettoso e fedele, ancor più anomalo e stridente visto l’incomprensibile cataclisma interpretativo.
Diventa marginale l’ambientazione vaticana.
Gli interpreti, anziché da cardinali, avrebbero potuto avere addosso divise militari, o camici d’ospedale, oppure potevano essere consiglieri d’amministrazione o maestre d’asilo, non sarebbe cambiato niente. L’azione poteva svolgersi ai tempi di Cicerone o tra gli zulù, e la mascherata poteva avere lo stesso identico effetto di straordinario infantilismo. Non c’è satira, non c’è messaggio politico, per assurdo non c’è nemmeno teatro. Rimane un’ora e mezzo di spettacolo senza intervallo, senza gioia, senza comprensibilità. E fortuna che i sopratitoli rimandavano alla fulgida bellezza del testo shakespeariano. Almeno questo. Pubblico alla fine generosamente plaudente, che deve aver stupito gli stessi interpreti usciti per i saluti di scena. Sembravano un po’ sconcertati. Mah.