“Spotlight” (miglior film) e “Revenant” (miglior regia): il grande compromesso tra film spettacolari e film di contenuto

collage marisa ultimo(di Marisa Marzelli) Una grossa sorpresa (Spotlight incoronato miglior film dell’anno), una sorpresina (a Sylvester Stallone è sfuggita la statuetta di migliore non protagonista) e varie conferme. Questa del 2016 è stata un’edizione dell’Oscar parzialmente di compromesso ma non scontata. Non bisogna basarsi sul numero di premi vinti da un solo film. Nel caso specifico Mad Max: Fury Road ne ha ottenuti sei, tutti in categorie tecniche, il che significa nulla di più del riconoscimento di una splendida confezione. È un film riuscitissimo ma di quelli di solito nemmeno presi in considerazione per l’Oscar, considerati di puro intrattenimento, bei giocattoli da sabato sera.
Il superfavorito Revenant del messicano Iñárritu ha intascato tre Oscar (miglior regia, attore protagonista – a furore di fan finalmente Leo DiCaprio ce l’ha fatta – e migliore fotografia al maestro della luce Emmanuel Lubezki). Così tra l’outsiderSpotlight e il lanciatissimo Revenant si è consumato il grande compromesso. Miglior film il primo, miglior regia il secondo. Quando, secondo logica (ma non sempre all’Oscar), il miglior regista dovrebbe essere l’artefice del miglior film. Si sa però che nei verdetti della Notte delle stelle giocano molti equilibri non solo cinematografici. Da sottolineare che Spotlight ha vinto anche l’Oscar della migliore sceneggiatura originale, come a dire che il contenuto c’era, e bello tosto. La migliore sceneggiatura non originale è andata a La grande scommessa, film che si apparenta in qualche modo a Spotlight per la tematica di attualità trattata con quel piglio civile che era tipico della Nuova Hollywood degli anni ’70 e che si è poi stemperato nel tempo.
Stavolta a contendersi i trofei mi pare ci fossero essenzialmente due tipi di film, quelli altamente spettacolari dove prevale l’aspetto visivo esaltato dagli effetti speciali, insomma l’avventura d’autore, e quelli in cui è essenziale il contenuto, la riflessione sul mondo reale che ci sta attorno. È chiaro che il primo tipo parla alla pancia, alle emozioni, il secondo alla testa, al ragionamento, perciò è anche più verboso, più lento e impegnativo; per fare un paragone con i libri, più saggio e meno romanzo. Con tutte le sfumature del caso, infatti Il ponte delle spie, di Spielberg (che ha fruttato l’Oscar di non protagonista a Mark Rylance, negandolo così al più popolare Stallone), sta a metà tra la spy story e una lezione di storia e d’intrighi sulla Guerra Fredda. Da parte sua Spotlight ricorda come il cinema possa essere anche gioco teatrale di ottimi attori e argomenti di urgente necessità. Raccontando come la squadra giornalistica d’inchiesta del Boston Globe sia riuscita a portare alla luce, driblando annosi tentativi d’insabbiamento, lo scandalo dei preti pedofili nella diocesi di Boston, Spotlight ridà lustro e passione a un mestiere oggi marginalizzato dal cinema come il giornalismo, inteso nel senso di cane da guardia della democrazia. Sepolto ormai dall’impazzare del “citizen journalism” in rete e dal calo di vendite della stampa scritta. E dopo Spotlight vedremo Truth (Verità), in uscita a metà marzo e che al contrario della pellicola oscarizzata racconta di uno scoop finito male.
Con gli Oscar alla sceneggiatura originale di Spotlight e non originale de La grande scommessa (sui retroscena della crisi finanziaria del 2008) si torna a dare il suo giusto valore alla complessità della scrittura di un film. Se questo trend è in atto torneremo (forse) ad apprezzare solidi film di solidi concetti e non solo immagini che non richiedono di attivare anche il cervello.
Quanto a Leonardo DiCaprio, sarebbe da premio anche se leggesse l’elenco del telefono. Ma non è certo la prova fisicamente muscolosa in Revenant la sua migliore performance, o meglio non riassume l’essenza fatta di sottigliezze del suo talento. Però l’Oscar l’ha snobbato per troppo tempo in interpretazioni più complicate. Non si poteva più ignorarlo.
Migliore attrice Brie Larson per Room, che uscirà prossimamente. Giudizio sospeso in quanto in Europa ancora la conosciamo poco. Conosciamo meglio la svedese Alicia Vikander, premiata come migliore non protagonista per il film in costume The Danish Girl, bel volto nuovo già fattosi notare a partire dall’Anna Karenina di Joe Wright.
Il premio per l’animazione a Inside Out era più o meno scontato perché il film Disney aveva ottenuto solo consensi e quello a Ennio Morricone per la colonna musicale in The Hateful Eight di Tarantino era a sua volta dovuto a un maestro mondiale della musica da film troppo a lungo ignorato.
Gli Oscar vivono anche di sviste, a cui a volte si rimedia e altre no.
Questa volta è andata bene.