(di Patrizia Pedrazzini) Brutta faccenda, l’approssimarsi della fine. Se poi si è abituati a sentirsi in faccia i fasci di luce dei riflettori, col corollario di applausi, simpatia del pubblico, in una parola successo – che sarà anche una cosa effimera, però riempie di vita e di gioia gli occhi e il cuore – allora, la faccenda, rischia di essere ancora più brutta. Triste e dolorosa.
Stan Laurel e Oliver Hardy, ovvero, in assoluto, la più grande coppia comica della storia del cinema: 107 film fra il 1927 e il ’50. Una chimica contagiosa, e numeri esilaranti che ancora oggi sembrano naturali, ma che sono il frutto di una preparazione e di un perfezionismo curati fin nei minimi dettagli. Non per niente i due rientrano nel ridottissimo numero delle star del cinema muto che sono riuscite a traghettare, a sopravvivere e a prosperare, nel sonoro, rafforzando la maestria comica con strampalati giochi di parole.
In “Stanlio & Ollio”, il quarantaseienne regista scozzese Jon S. Baird (“Cass”, “Filth”, “Babylon”) li racconta nel 1953, quando arrivano in Gran Bretagna per quella che sarà la loro ultima tournée teatrale. La gente ancora li conosce e li ama, ma l’epoca d’oro, ormai, è alle spalle. Così all’inizio il pubblico è scarso, i teatri sono minuscoli e le pensioni, nelle quali alloggiano, decisamente di seconda mano. Ma presto l’incanto della loro arte si ripete, e tutto torna magicamente come un tempo: grandi teatri, grandi risate, grandi hotel. E le due (ultime) mogli che arrivano dall’America. Tutto bene? No. Fra i due c’è un vecchio conto in sospeso, mai chiuso, e poi Ollio non sta bene: ha problemi di cuore (morirà quattro anni dopo, mentre Stanlio se ne andrà nel 1965). E poi niente è più come prima. Così il rapporto sembra incrinarsi (e le intriganti consorti certo non aiutano). Ma i due si vogliono bene e, alla fine, il canto del cigno arriverà, ma sarà in nome dell’amicizia, grande, forte, mai sopita.
Steve Coogan (“Philomena”, “The Dinner”) e John C. Reilly (“Gangs of New York”, “The Aviator”, “The Lobster”) interpretano Stan e Oliver in maniera seria, credibile e intensa. Senza mai sforare nel patetico, né tanto meno nell’imitazione ridicola, anzi. Entrambi si calano con grande dignità e cura nei panni, nei gesti, nella camminata, negli sguardi, nelle inflessioni, del duo comico, ma va anche detto che, fra loro, è Coogan quello che centra il risultato migliore, conferendo al “suo” Stanlio quel mix di tenerezza e grandissima professionalità (era lui la mente creativa, sempre occupato a ideare, a scrivere, a provare) che ne fanno il reale punto di forza, il sostegno, della coppia.
Il risultato è un film pieno di sentimento, venato di amarezza, di nostalgia e di disillusione. Le gag, certo, strappano sorrisi, l’ironia e la comicità sono e restano immortali, ma quello che veramente cattura è l’affetto profondo che lega due esistenze, e che traspare da ogni battuta, in ogni singola scena.
E il balletto finale “At The Ball, That’s All” (da “I fanciulli del West – Allegri vagabondi”) sulle tavole dell’ultimo palcoscenico irlandese, è commozione pura.
Stanlio e Ollio, la forza dell’amicizia. Il canto del cigno della coppia comica più amata fra tenerezza e commozione
29 Aprile 2019 by