MILANO, sabato 21 febbraio ●
(di Paolo A. Paganini) Il milanese Angelo Longoni è uscito dalla Civica Scuola del Piccolo Teatro, agli inizi dell’80. Ma il suo sguardo era su Roma, dove, dopo non molto, da attore, cominciò a consolidare la sua reale vocazione alla regia di teatro, cinema e tv, e, soprattutto, rivelando una particolare e prolifica versatilità come autore, da “Money” a “Hot line”, da “Naja” a “Xanax”, da ”Testimoni” a “Maldamore”, da “Bruciati” a “Uomini senza donne”, alcuni dei quali superpremiati.
La sua vena creativa parte sempre da un argomento sociale per diventare gioco dialettico e, soprattutto, sviluppo dialogico, più formale che sostanziale, cioè fermandosi sempre a un passo dal rischio di una elocubrazione filosofica o dalla tentazione di una verità assoluta. Non c’è in Longoni la perorazione d’una causa, ma, piuttosto, la descrizione o, meglio, la rappresentatività dei più appariscenti umori contemporanei, dal disagio dei rapporti sociali alla difficoltà di gestire i sentimenti individuali. Con questo specifico, con questa propensione ai caratteri superficiali di un’attualità giovanile, è stato facile passare sempre più alla descrizione di un fenomeno appena accennando alle cause, privilegiando sempre più la battuta, il dialogo, l’ironia o la comicità, addirittura il genere boulevardier.
Si veda per esempio quest’ultima sua opera, “Ospiti”. Arriva a Milano, al San Babila, in ripresa dall’anno scorso. È uno spettacolo a tre. La storia è praticamente inesistente, è, piuttosto, uno spettacolo di situazione. La situazione drammaturgica è data da un bislacco autore di testi comici televisivi, divorziato e dissanguato dalla moglie. In fretta e furia ha dovuto lasciare la casa coniugale per trasferirsi nell’appartamento lasciato libero da un divinvolto viveur di successo, che, pur in assenza, è causa per il subentrato inquilino, di equivoci, quiproquo e fastidi d’ogni genere. Il più imbarazzante, per lui che vuol solo bere come una spugna per dimenticare e lavorare ai suoi testi comici, che si fanno sempre più cupi, depressi e disperati, è l’arrivo di una ragazza che armi e bagagli gli si piazza in casa per consuetudine di letto e di ospitalità con il veccho inquilino. E fin qui le cose potrebbero mettersi come risvolto logico potrebbe far intuire. Eh no. Gli piomba in casa anche l’ex fidanzato paranoico in evidente disagio psichico: rivuole a tutti i costi la sua ragazza, pronto a far fuori tutti, soprattutto l’innocente scrittore di testi comici, ritenuto il vecchio inquilino seduttore della spigliata fanciulla.
In un’ora e un quarto senza intervallo lo spettacolo si regge solo su uno scoppiettante gioco di squadra e di battute di pronto effetto. Le battute son sempre di Longoni, che costruisce anche la disinvolta regia, la squadra è composta dall’affiatato terzetto Cesare Bocci, Eleonora Ivone e Marco Bonini, qui scritti nell’ordine delle apparizioni sceniche appena descritte, e che, in conclusione, lasciano aperte alcune possibili soluzioni, cioè: il paranoico fa fuori tutti e poi se stesso; oppure la ragazza si mette con lo scrittore e tutto si conclude con l’eterno bacio d’amore; oppure la ragazza torna con il patetico ma innamoratissimo paranoico e lo scrittore può finalmente ubriacarsi per dimenticare e scrivere battute comiche sempre più cupe depresse e disperate; oppure, ancora e ultima possibile soluzione, tutto finisce in gloria con un’allegra ammucchiata, e chi s’è visto s’è visto. Altre conclusioni non ci sono. Oppure sì? Diavolo d’un Longoni. Divertiti applausi alla fine per tutti.
“Ospiti”, di Angelo Longoni (anche regia), con Cesare Bocci, Marco Bonini, Elonora Ivone. Al Teatro San Babila, Corso Venezia 2/A. Milano. Si replica fino a domenica 1 marzo.