(di Andrea Bisicchia) Chi, come me, si è formato sulla Storia del teatro europeo di Silvio D’Amico e su quella del Teatro italiano di Mario Apollonio, la Storia del teatro di Brockett, apparsa, per la prima volta nel 1988, con introduzione di Claudio Vicentini, fu, non solo una novità per l’approccio metodologico alla storiografia teatrale, ma anche per un modo di accostarsi al passato, con gli occhi di oggi, ovvero con tutte quelle intersezioni che, nel frattempo, si erano aggiunte ai modelli originari.
La storiografia degli anni Ottanta ha abbandonato, da tempo, il metodo cronologico per addentrarsi in problemi molto più specifici, che riguardano la lingua scenica, lo spazio, l’organizzazione economica, la recitazione, la sperimentazione, l’interdisciplinarietà e, infine, i risultati raggiunti dalla ricerca antropologica. Ai documenti tradizionali, pertanto, si sono aggiunte altre documentazioni provenienti da arti diverse, ma che sono confluite nella Storia del teatro, tanto che lo stesso Vicentini, che si può rileggere nella nuova edizione, proposta sempre da Marsilio, poteva dire di trovarsi dinanzi a “una visione strabica” della storiografia, vista la compresenza di tanti aspetti dell’attività teatrale, rimescolati e ricostruiti da Brockett che, pur attingendo a fonti ben note, la arricchisce con quel carattere pragmatico che contraddistingue la sua notevole ricerca che si estende fino al 2010, anno della sua morte.
Vicentini aggiunge alcune pagine alla nuova edizione, indicando le rivisitazioni, gli aggiornamenti, soprattutto, per quanto riguarda l’apparato bibliografico e il rapporto tra teatro orientale e occidentale. Se si volesse leggere questa “Storia” alla luce di tale rapporto, ci si accorgerebbe quanto, tra il teatro delle origini e il teatro di ricerca del secondo e del terzo millennio, le cose non siano cambiate di molto. Anche Brockett parte dal mito e dal rito, ovvero da come certi racconti mitici siano stati conservati per essere rappresentati in forma drammatica, ma lo fa utilizzando i ritrovati di antropologi come Frazer, Malinowski, Lévi Strauss, Campbell, noti studiosi di tutti quegli elementi che riguardano il rito, ovvero: musica, danza, maschere, costumi, ritmi, spazi improvvisati nei quali venivano oggettivati le ansie, le paure, i sogni, le speranze delle comunità primitive, nel momento in cui le visioni religiose erano subordinate al divino fino a quando, con i tragici greci, il rito si sviluppò in senso specificamente teatrale, trasformandosi in un vero e proprio apparato istituzionale.
Ebbene, se guardiamo all’oggi, ci accorgiamo come certi moduli del passato, siano ritornati di moda, avendo, il teatro di ricerca, riscoperto le contaminazione delle arti, le forme rituali e cerimoniali, l’oralità, la diversificazione degli spazi.
Il lettore di questa storia viene, così, accompagnato per mano in un simile lungo cammino, come i pellegrini che si recano a Santiago de Compostela, alla ricerca di una propria idea del divino. Basta leggere i capitoli dedicati alla drammaturgia dell’ultimo Novecento e degli inizi del terzo millennio, dedicati alla sperimentazione, per riconoscere come il teatro, per sopravvivere, abbia ancora bisogno di quei rituali che ne alimentino la lingua, oltre che le forme della rappresentazione.
Oscar G. Brockett: “STORIA DEL TEATRO”, Marsilio Editore – Nuova ediz. 2016 – pp 816, € 38