MILANO, giovedì 13 febbraio ► (di Paolo A. Paganini) – Al Teatro Franco Parenti, con Carlo Cecchi e la sua affiatata compagnia, nei quaranta minuti del primo dei due atti unici di Eduardo, “Dolore sotto chiave” (1964), è già un tragico e intenso compendio del teatro di Eduardo. Sia nella forma sia nella sostanza, aprirebbe discorsi all’infinito. Limitiamoci a un paio di punti.
Il dolore. Anche nelle sue farse più solari, emerge sempre un ripiegamento dolente sul mistero della vita. E, d’altra parte, la vita di Pulcinella non è poi così allegra e spensierata come amiamo credere. Qui, dunque, nel “Dolore sotto chiave”, Eduardo rivendica il diritto di soffrire. La morte dell’adorata moglie è avvenuta da undici mesi. Ma, al marito, Rocco, architetto, assente per lavoro in tutto quel tempo, sua sorella Lucia, anche a funerali avvenuti, officiati con grande sfarzo, ne nasconde la scomparsa. Inventa le malattie più tragiche più dolorose più infauste della moglie, compresi i suoi strani silenzi, per non dare al fratello la ferale notizia. Ma quando Rocco torna, la finzione si svela. Lui quasi impazzisce, non per il dolore, ma perché gli è stato sottratto il diritto al dolore, come legge naturale quando la morte ha ormai fatto il suo corso. Ora è troppo tardi, inutile il pianto.
In tutte le “cantate” di Eduardo, pari o dispari che siano, tutto, tanto o poco, si intride di dolore, da “Natale in casa Cupiello” a “Non ti pago”, da “Napoli milionaria” a “La grande magia”, da “Questi fantasmi” al “Sindaco di Rione Sanità”. Non manca mai la piega amara del dolore, anche quando è pudicamente mascherato dall’ironia e dalla comicità.
Il rito. Alcune occasioni e ricorrenze trovano camei di intensa felicità espressiva, e liberatoria. In particolare, si tratta di piccoli piaceri domestici: la buona tavola, soprattutto, il caffè. Famoso il rito del caffè, con i suoi sacri paramenti preparatori, quando il “becco” Pasquale lo spiega al Professor Santanna, sul balcone di fronte, in “Questi fantasmi”. Qui, invece, nel “Dolore sotto chiave”, c’è la spiegazione di una classica ricetta napoletana, spiegata al telefono dall’ottuso e mortifero parolaio Professor Ricciuti (ah, che straordinario Carlo Cecchi), mentre Rocco (una superba, convincente, disperata interpretazione di Vincenzo Ferrera), nel salotto a lutto, attende una telefonata dalla sua giovane amante, che sta per lasciarlo.
Nel teatro di Eduardo, come nell’antica fame di Pulcinella, le ricette, prima dei piatti amari, sono gaudioso cibo dell’anima.
L’inespresso. Spesse volte, i più tragici significati sono inespressi. A volte basta un gesto. E, negli ultimi anni l’inimitabile gesto di Eduardo arrivava prima della sua voce bronchitica. Una di queste scene di intensa drammaticità è qui, nel finale del “Dolore sotto chiave”. L’attesissima telefonata arriva. Ma il destino ha già tirato i suoi fili. Rocco ascolta. E, in silenzio, mette giù tristemente la cornetta, un oggetto ormai morto. E, in quel gesto c’è già tutto. Dolore, disperazione, rassegnazione, inutilità. Che stupenda botta di teatro.
Il secondo atto unico di Eduardo, di tutt’altra natura, “Sik Sik l’artefice magico”, di 45 minuti, è un divertissement del 1929, un archetipo di tutto il teatro eduardiano. È una farsa tragica. Storia d’un povero illusionista, pasticcione, maldestro, squattrinato (Carlo Cecchi, in uno straordinario pastiche italo-partenopeo), con moglie incinta che gli fa da spalla (e perbacco, che tragicomica spalla di classe Angelica Ippolito). Si esibisce nei teatrini più infimi e malfamati dell’italica provincia del sud. E quella fatidica sera, per l’assenza del compare-complice nei trucchi, sostituito con un avventizio spettatore di buona volontà ma inesorabilmente imbranato, con una serie di numeri, uno più catastrofico dell’altro (il lucchetto d’un baule che non si apre, la moglie incinta all’interno; e poi una colomba che s’invola e fugge: e, all’ultimo momento, il “miracolo” della colomba, che, a insaputa dell’artefice magico, è stata sostituita con una gallina, eccetera). Da tenersi la pancia dal ridere. Eppure…
Eppure, ci piace riportare un ricordo della sorella Titina, che, “con la sua sensibilità di donna e la sua intelligenza di artista”, rivelò: “Erano le prime volte che sentivo recitare Eduardo. Mi sembrava così fresca quella sua comicità. Mi accorgevo che, a volte, provavo stranamente pena per quel viso scavato, pallido, per l’espressione di quegli occhi nei quali sembrava brillasse una lacrima…”
Titina aveva già, da subito, capito tutto.
E Maurizio Giammusso (in “Vita di Eduardo”, Mondadori Editore, 1993), con acuta tenerezza, annota: “… Non sarà un caso che, proprio con questo primo personaggio di successo, Eduardo chiuderà significativamente la sua storia di attore nel 1981…”
DOLORE SOTTO CHIAVE, di Eduardo De Filippo. Regia Carlo Cecchi. Scene Sergio Tramonti. Costumi Nanà Cecchi. Con Vincenzo Ferrera (Rocco Capasso), Angelica Ippolito (Lucia Capasso), Dario Iubatti La Signora Paola), Carlo Cecchi (Il Professor Ricciuti), Remo Stella (Il Fotografo Musella), Marco Trotta (Lo Scultore Tremoli).
SIK-SIK L’ARTEFICE MAGICO, di Eduado De Filippo. Regia Carlo Cecchi. Scene e costumi Titina Maselli. Con Carlo Cecchi (Sik Sik), Angelica Ippolito (Giorgetta), Dario Iubatti (Rafaele), Vincenzo Ferrara (Nicola).
Al Teatro Franco Parenti, via Pier Lombardo 14 – 02 59995206 – Repliche fino a domenica 1 marzo