MILANO, giovedì 8 marzo ► (di Paolo A. Paganini) Spesso gli argomenti di teatro ci portano apparentemente fuori strada. Così avviene per “Cita a ciegas”, dell’argentino Mario Diament (1942), americano d’adozione (vive a Miami dove insegna all’Università internazionale della Florida). Il titolo dell’opera, omaggio alla città d’origine, Buenos Aires, è un’espressione idiomatica che sta per “appuntamento al buio” (oltre ad altre estensioni). Qui la sua pertinenza sta nel fatto che il buio è, da una parte, quello della cecità degli occhi e dall’altra quello della cecità delle anime. Il protagonista (che adombra la figura di Jorge Luis Borges, il più grande poeta e scrittore argentino del secolo scorso, il quale, tra il 1938 e il 1955 , perse progressivamente la vista), qui, nella finzione scenica, vede e capisce tutto, al contrario di tanti che vedono tutto e non capiscono niente, perché sono ciechi dentro.
L’omaggio di Diament, oltre che alla sua città, è – soprattutto – a Borges, ricostruendone il pensiero e la poetica in espliciti riferimenti contestuali, con i quali illumina la straordinaria figura dell’intellettuale scrittore poeta saggista, che giganteggia la scena, da una panchina in centro, intorno alla quale orbita un mondo di personaggi vinti o disperati. Il cieco vede, capisce, consola, mentre rivive il ricordo d’una fugace visione di giovane donna, con la quale, trent’anni prima, incrociò lo sguardo su quelle fatali e simboliche scale mobili della metropolitana di Parigi, andando ciascuno nel senso opposto.
È il destino che gioca con le nostre vite, dirà.
Ciò che poteva accadere non è accaduto, cioò che poteva essere non è stato, eppure sapevano entrambi, da quello sguardo, che poteva essere l’incontro definitivo della loro vita, la cosmica esplosione d’un amore totale e per sempre. E, invece, per sempre si sono portati dentro la condanna di non avere potuto o saputo allungare la mano, proprio in quel momento fatale. Unico e irripetibile.
Nella realtà, Borges, uno dei massimi divulgatori dello spagnolo “Ultraismo”, corrente “rivoluzionaria” molto prossima al nostro Futurismo, ma poi scrittore di spregiudicate commistioni letterarie, comprese le narrazioni fantastiche e il romanzo poliziesco, sempre con il raffinato utilizzo dei suoi miti ricorrenti: il labirinto, la biblioteca, lo sdoppiamento, lo specchio, tra il ludico e il razionale, tra l’ironia e la speculazione filosofica, partendo dalla realtà per assurgere al metafisico, in un continuo spostamento dei limitanti e insoddisfacenti confini del fantastico e del razionale.

Gioele Dix e Laura Marinoni in una scena di “Cita a ciegas” (Appuntamento al buio). Nel riquadro Andrée Ruth Shammah. (Foto Luca Del Pia)
Diciamo tutto ciò come immaginaria voce fuori campo, perché il testo di Diament, al di là della suggestiva scrittura drammaturgica, edifica e privilegia un personale percorso dentro l’anima vedente del cieco Borges.
Ciò al Salone Pier Lombardo (due ore senza intervallo), dove, con la tecnica del genere poliziesco psicologico, quasi tutto orbita intorno a una panchina pubblica, dove lo scrittore (un poetico Gioele Dix fanciullescamente attonito e rapito da tante singolari vicende) è solito prendere il fresco tutte le mattine. Su quella stessa panchina gli piombano casualmente gli sconosciuti personaggi dell’invenzione teatrale: un bancario in crisi (Elia Schilton, patetico omuncolo schiacciato da un destino più grande di lui), che riversa sul cieco scrittore i tormenti del suo cuore lacerato. Sposato da vent’anni con una psicologa (Sara Bertelà, vinta dalla sua stessa indomita psiche assetata d’affetto e di comprensione), il bancario è ora innamorato non riamato d’una giovane scultrice (Roberta Lanave, la spregiudicata eppure ingenua giovane artista dal destino sciagurato). Intanto, la moglie viene a sapere tutto, per il solito “gioco del destino che gioca con le nostre vite”. Ha infatti incontrato nel suo studio di psicologa sia la giovane sia la madre (una Laura Marinoni indurita dalla vita). Le quali, prima l’una, poi l’altra, s’imbatteranno con lo scrittore cieco proprio su quella sua panchina, centro di un orbitante universo di destini incrociati, osservatorio di anime, confessionale di fallimenti, di egoismi e crudeltà. Fino all’armonica conclusione degli incastri. Fino all’ultima rivelazione, come inno alla vita e all’amore. Che lasceremo alla curiosità degli spettatori (anche se di facile soluzione).
La regia di Andrée Ruth Shammah, orchestrando con aggressiva determinazione le poetiche sospensioni e le inaspettate violenze di questo dramma di anime, ha saputo armonizzare con ricercate finezze i temperamenti di tutti gli interpreti, tutti prodighi in generosa partecipazione.
Ci saremmo però aspettati qualcosa di più dalle ben conosciute sapienze scenografiche di Gian Maurizio Fercioni, che ha collocato freddamente quell’asettica panchina in centro scena, senza le magiche atomosfere della turbolenta Buenos Aires, magari solo accennate, qui inesistenti.
Pubblico felicemente entusiasta alla fine. Calorosi applausi per tutti. Si replica fino a giovedì 29 marzo.
“Cita a ciegas” (Appuntamento al buio), di Mario Diament, traduzione, adattamento e regia di Andrée Ruth Shammah. Con Gioele Dix, Laura Marinoni, Elia Schilton, Sara Bertelà, Roberta Lanave – scena Gian Maurizio Fercioni – Teatro Franco Parenti, Via Pier Lombardo 14 – 20135 Milano – Tel. 02 59995217