(di Andrea Bisicchia) L’incontro fra un decano del teatro, Luca Ronconi, e un decano della critica, Gianfranco Capitta, è oggetto del volume: “Teatro della conoscenza”, edito da Laterza, che ripropone la medesima formula del precedente, firmato sempre da Capitta insieme a Toni Servillo, su “Interpretazione e creatività”. La formula è quella del dialogo platonico che consiste nell’affermare alcune tematiche, che riguardano il teatro, senza alcun apparato teorico e,quindi, senza il linguaggio specialistico del saggio scientifico. Gli argomenti riguardano l’interpretazione, la conoscenza e il ruolo della creatività nell’ambito della realizzazione scenica. Compito di chi pone le domande è quello di condurre l’interlocutore a tracciare le correlazioni esistenti tra teatralità, drammaturgia, spazio, metodologia, progetto, comunicazione, laboratorialità, spazio, regia, interpretazione.
Ogni testo, quindi, diventa il pretesto per esplorare linguaggi, per creare rapporti multidisciplinari, oltre che territori di comunicazione. Per Ronconi, il teatro offre la possibilità di utilizzare linguaggi diversi, lessici funzionali alla rappresentazione, materiali che permettono al palcoscenico di trasformarsi in luogo dell’ignoto, che spetta al pubblico esplorare, anche perché consapevole che capire è più difficile che sapere, dato che i materiali della scena contengono sempre dei segreti, dei misteri, essendo, in prevalenza, metaforici, allusivi, tanto che, per chi assiste, diventa più importante immaginare piuttosto che vedere.
I significati di un’opera sono infiniti, spetta all’interprete catalogarli, strutturarli, dare un senso, immetterli in quel percorso di conoscenza che dà il marchio autentico dell’artisticità. Ronconi è consapevole di tutto questo, il suo impatto col testo nasce dal desiderio di conoscerne le potenzialità, di esplorarne i significati nascosti che permettono all’equazione: regia=creatività, di differenziarla dalla persona-regista che è un mestierante. Su questo argomento, Ronconi non ha dubbi dato che diversifica il mestiere dalla professione, essendo, a suo avviso, il primo un lavoro che presuppone una ricompensa e che ha un rapporto col mercato, mentre la professione ha delle regole alle quali bisogna adattarsi, regole che non vanno in cerca della gratificazione, del compiacimento che è ben diverso dal piacere, così come il bello è ben diverso dalla bellezza.
Quando, con Ronconi, si parla di teatro, indirettamente, si parla anche di spazio e, per chi ha visto i suoi spettacoli, da “I Lunatici”(1967) all’”Orlando furioso”(1969), da “Utopia”(1975) a “La Torre”(1979), da “Gli ultimi giorni dell’umanità”(1990) a “Lolita”(2001), da “Infinities”(2002) a “La Celestina”(2014 ), sa bene che i luoghi utilizzati sono stati sempre diversi: piazze, palasport, chiese sconsacrate, laboratori, strade, fabbriche dismesse, palcoscenici reinventati, e capisce che lo spazio non è un semplice contenitore, bensì una parte integrante, se non vivente, della creazione artistica, quindi non un luogo, ma uno spazio di correlazione, di rapporti, di coinvolgimento del pubblico per evitare che assista con “intermittenza”.
Per Ronconi è meglio che il pubblico soffra piuttosto che annoiarsi. Il volume è corredato da una teatrografia , concepita da Capitta, non come un susseguirsi di titoli, ma di schede tanto brevi, quanto illuminanti.
“Teatro della conoscenza”, di Luca Ronconi e Gianfranco Capitta – Editori Laterza, 2012 – pp128, € 10
Teatro, affascinante luogo dell’ignoto e del mistero, e immaginare è meglio che vedere, dice Ronconi
6 Marzo 2014 by