Continua sul nostro giornale il dibattito, apparso in più puntate sulle pagine di “La Lettura”, supplemento domenicale del Corriere della Sera, acceso da un articolo di Franco Cordelli, di cui abbiamo dato notizia il 30 luglio.
(di Andrea Bisicchia) – Nelle diverse puntate di “La Lettura”, sul dibattito, aperto da un articolo di Franco Cordelli, sono intervenuti registi, direttori, attori e organizzatori del teatro italiano. Sulle pagine del nostro giornale sono intervenuti altri professionisti del teatro che ci hanno scritto, commentando il nostro contributo. Essendo stati numerosissimi, abbiamo deciso di continuare, sull’argomento, sintetizzando gli altri interventi apparsi su “La Lettura” dopo il nostro articolo su Lo Spettacoliere e, nel frattempo, dare spazio ad alcuni che ci hanno scritto, riportando le loro idee in proposito.
Le argomentazioni, sul senso del teatro oggi, sono continuate con altri articoli che hanno coinvolto altri registi, direttori e organizzatori.
Walter Pagliaro ha sostenuto che, per affrontare qualsiasi tema, riferito al teatro, occorra far convivere emozione e sensibilità e, magari, mettersi d’accordo sul concetto di repertorio, eludendo il “quadrilatero” Pirandello, Goldoni, Shakespeare, Cecov, per arricchirlo con altri classici, altrettanto importanti come: Kleist, Racine, Corneille e con i testi di Ibsen e Strindberg poco frequentati. Non mancano alcune sue accuse sul teatro contemporaneo, per il quale “le mode” hanno spesso il sopravvento, generando un facile conformismo, soprattutto nella stesura dei cartelloni, in parecchi casi, alquanto ripetitivi, meglio, allora i “Teatri Instabili” che sono più liberi nelle loro scelte.
Pippo Di Marca ha rivendicato l’importanza del “teatro d’autore”, quello che va scritto direttamente sulla scena, il solo che non avverta “il declino”, essendo un “vizio mortale”, ma che non ha voglia di morire. Rivendica, inoltre, l’importanza della critica professionistica che, da anni, “viene umiliata dai poteri forti della stampa nazionale”.
Al dibattito è intervenuta anche una spettatrice che ha scritto sul ruolo del pubblico, “al di là del gusto del critico”, e sulla funzione civile del teatro che va correlato, a suo avviso, con la politica, l’economia, le istituzioni. Si è trattato di una opinione che ha poco a che fare con la pratica del teatro, una pratica molto difficile.
Gabriele Lavia, nel suo intervento, ha rivelato quanto sia fondamentale lo studio, non solo dei testi teatrali, ma anche della saggistica e della filosofia correlati al teatro. Lavia sta intere giornate a leggere e studiare, come mi dice Federica Di Martino, soprattutto, i suoi amati Holderlin, Hegel e Schelling. Nell’articolo, cita Eraclito per il quale raggiungere “il fondo della vita” è impossibile, così come è impossibile raggiungere il fondo della poesia di un grande testo. La sua non è smania di profondità, essendo consapevole che, il teatro è anche una festa, ma “suprema”, ossia infinita.
Piero Maccarinelli sostiene che il teatro deve essere “eclettico”, come lo è il pubblico, ma auspica, nel frattempo, l’educazione teatrale nelle scuole, che permetterebbe una maggiore conoscenza e una migliore capacità di giudizio, che ritiene fondamentale, come lo è la critica, quella che, una volta, col suo lavoro quotidiano, permetteva di conoscere lo stato di salute del teatro, che non ha bisogno solo dei classici, ma anche di autori contemporanei, sia italiani che stranieri, da lui, a dire il vero, parecchio frequentati.
Fabrizio Grifasi spiega che il teatro deve essere specchio del nostro tempo e proporsi come “un sensore dei mutamenti”, dato che non esiste un teatro a senso unico, essendo un campo d’indagine molto allargato che rispecchia la molteplicità dei percorsi artistici. Come direttore di Romaeuropa Festival, uno degli appuntamenti più importanti delle Stagioni teatrali, rivendica il potere della scrittura scenica e la ricchezza delle creazioni di artisti talentuosi.
Anche noi dello Spettacoliere crediamo nel talento degli artisti che non può, certo, appartenere a tutti, non crediamo nella frammentazione, nella ripetitività, nell’uso sconsiderato dell’utilizzo della tecnologia, fine a se stessa, e nelle decostruzioni per giustificare l’ingiustificabile.
Sono stati moltissimi gli interventi dei nostri lettori, tra i quali, ricordiamo quello di Maria Procino, studiosa di Eduardo, di cui ricorda una battuta sarcastica, a proposito di coloro che parlano di crisi del teatro, trattandosi, secondo il drammaturgo napoletano, di un “coro di rane “.
Sulla drammaturgia contemporanea ci ha scritto Enrico Bernard, a cui dobbiamo la terza edizione di “Autori e Drammaturgie”, che ci sentiamo di consigliare a tutti i Direttori di teatro di tenerlo aperto sulla propria scrivania, il quale esprime il suo grido di dolore sulla situazione degli autori italiani, poco frequentati, sulla scena italiana, mentre alcuni di loro, come Squarzina, Brusati, Pasolini, Patroni Griffi e lui stesso, andrebbero riscoperti con maggiore attenzione.
Daniele Timpano, noto per certi suoi testi, andati in scena, come “Zombitudine”, “Acqua di colonia”, “Aldo Morto”, scritti insieme a Elvira Frosini, si è soffermato sul suo lavoro di attore-drammaturgo, ricordando che esiste una nuova generazione di autori, non attori, come Davide Carnevali, Emanuele Aldrovandi, Fabrizio Sinisi, che seguiamo con attenzione, convinti, però, che, per un autore, siano fondamentali una certa continuità, oltre che i risultati scenici.