MILANO, mercoledì 4 aprile ► (di Andrea Bisicchia) Da tempo, la sociologia, l’antropologia, la psicoanalisi, la psichiatria si sono interessate di teatro a livello teorico. Nel secondo Novecento, dopo il successo del “Galileo” di Brecht, messo in scena da Strehler, un posto particolare ha occupato la scienza, con una serie di testi il cui contribuito alla divulgazione di argomenti, che sembrava appartenessero soltanto ai conoscitori della materia, è stato determinante.
Grazie al teatro e al successo di testi come “I fisici” di Durrenmatt, “Sul caso J.Robert Oppenheimer” di Kipphardt, “Duecentomila e uno” di Cappelli, “Infinities” di Barrow, “Copenaghen” di Frayn, “Variazioni sul cielo” di Margherita Hack, “Il segreto della vita” di Anna Ziegler, la scienza novecentesca ha vissuto intere stagioni di teatri esauriti, come dire che, quando il teatro raggiunge alti livelli, si trasforma in luogo di dibattito, con una forza provocatoria tale da dividere, non solo gli spettatori di professione, ma anche gli uomini di scienza e persino i politici.
Accadde col “Galileo”, un testo ritenuto scandaloso dagli alti prelati e che aprì un ampio dibattito sulle capacità di tradurre, in linguaggio scenico, quelle che furono le scoperte e le responsabilità dei primi protagonisti della scienza moderna, che posero una serie di quesiti sulle relazioni che vennero a crearsi tra diversi rami del sapere, ovvero tra matematica e fisica, tra scienza e natura, tra responsabilità scientifica e responsabilità morale, visti gli argomenti trattati.
Il percorso che va dal “Galileo” a “Copenaghen”, a “Il segreto della vita” è, quindi, un percorso alquanto frastagliato che riguarda il rapporto tra teatro e scienza, ovvero tra due attività creatrici che sembrerebbero una opposta all’altra, ma che, in verità, in particolari momenti della storia umana, possono trovare punti di contatto, utilizzando, ciascuna, i propri mezzi, idonei, non tanto alla comunicazione di esperimenti, quanto di concetti o di riflessioni. Accade, così, che la scienza, pur appartenendo a un’altra formazione, da sembrare estranea al teatro, ha trovato, in esso, il modo più adatto per essere comunicata a un pubblico numerosissimo.
Vorrei solo ricordare che una delle prime tragedie di Eschilo, “Prometeo”, propose il rapporto tra teatro e scienza, dato che l’argomento principale riguardava l’uso della tecnologia come mezzo di felicità per gli esseri umani, tanto che, la scelta del dio, si trasformerà in martirio, onde potere alleviare le miserie umane.
Questa riflessione è la conseguenza dello spettacolo: “Rosalind Franklin, il segreto della vita” di Anna Ziegler, visto al Parenti, con la regia di Filippo Dini che, su un palcoscenico tutto bianco, diviso in due luoghi deputati, quello della ricerca scientifica e quello del chiacchiericcio, in proscenio, tra i vari scienziati, ci racconta la breve vita di Rosalind Franklin, alla quale si deve la scoperta della famosa “ elica”, dopo lo studio accanito sulle molecole del DNA, concedendo parecchio spazio a Wilkins, suo direttore scientifico, che senza consultarla, aveva dato da leggere le scoperte della collega a Watson e Crick, ai quali, nel 1962, verrà assegnato il premio Nobel.
Il miracolo del teatro consiste nel fare conoscere, a chi non sa nulla della materia, argomenti che appartengono alla fisica e alla biologia.
Milano, in questi giorni, offre due modi di accostarsi a simili problemi , con “ Copenaghen” e con “Il segreto della vita”.
“Il segreto della vita – Rosalind Franklin”, di Anna Ziegler, con Lucia Mascino, Filippo Dini, e con Giulio Della Monica, Dario Iubatti, Alessandro Tedeschi, Paolo Zuccari – regia Filippo Dini. Al Teatro Franco Parenti, Via Pider Lombardo 14, Milano. Repliche fino a domenica 15
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