(di Andrea Bisicchia) Renato Palazzi non ha mai nascosto i suoi grandi amori, che sono: Kantor e Bernhard, ai quali ha dedicato studi e passioni, fino a diventarne interprete. Del primo si era occupato scrivendo un volume pubblicato da Titivillus, del secondo aveva interpretato “Goethe muore”, un racconto irriverente sul ruolo della letteratura, della filosofia e sulla funzione dei ricordi. Dico interpretato, perché Palazzi, anche quando decide di portare in scena il “suo” autore, pur fingendo di fare l’attore, rimane il critico che dà una sua versione del testo, lo fa col medesimo scrupolo che trasferisce nelle pagine del giornale per cui scrive.
Il suo secondo appuntamento con Bernhard è stato con un testo poco noto, pubblicato da Adelphi nel 1987: “L’imitatore di voci” che, al contrario del precedente, contiene una raccolta di notizie di cronaca da cui scaturiscono tante vicende drammatiche e, nello stesso tempo, esilaranti, benché cariche di sarcasmo, dato che Bernhard non privilegia l’ironia.
Gli avvenimenti, rivissuti dall’autore con un vero e proprio impianto di crudeltà, riguardano storie di coppie, di delitti, di suicidi, di casi giudiziari, che vede come protagonisti una serie di personaggi che, pur provenienti dalla cronaca, assurgono a personaggi emblematici di una società, quella austriaca, che Bernhard ha sempre odiato.
Palazzi costruisce il suo “spettacolo” con una regia attenta ai particolari, si muove attorno a un tavolo di lavoro, colmo di giornali, ma anche di una oggettistica ricercata con molta cura, dove svettano ben nove trappole che non sono per topi, ma per il vissuto quotidiano, sempre ai limiti del tragico, dal quale è difficile ripararsi. Palazzi rivela questi stati d’animo con una forma di comicità costruita su ammiccamenti, sorrisi sornioni, ripetizioni allusive, utilizzando un linguaggio del corpo che rimanda a qualcosa di marionettistico, tanto che le ossessioni, le frustrazioni, le manie dei personaggi vengono trasformati in un immaginario da favola crudele. C’è un momento in cui le sue due passioni si incontrano, quando il personaggio di origine italiana, che ha scelto di vivere in solitudine, balla con un manichino femmina che, alla fine, vorrebbe sposare, accompagnato dal valzer utilizzato da Kantor per “La classe morta”. Del resto, Palazzi non ha mai nascosto la sua predilezione per il teatro d’immagine e per quello marionettistico.
Lo spettacolo, che intervalla gli accadimenti con voci fuori campo di Tindaro Granata e Angelo Di Genio, e che si avvale del contributo musicale di Brahms e Schubert , oltre che dell’aria della Regina della Notte, del Flauto magico di Mozart, cantata da Lucia Popp, è stato applaudito da un pubblico sorridente e affascinato dalle qualità, consapevolmente o inconsapevolmente, comiche di Palazzi.
Teatro fatto in casa. E un critico mette comicamente in scena un sarcastico testo di Bernhard per l’odiata Austria
16 Maggio 2017 by