MILANO, venerdì 27 novembre ► (di Paolo A. Paganini) Si discuteva, anni fa, di cosa si dovesse intendere per cabaret. Personalmente, ho sempre ritenuto che consistesse nel prendere un argomento curioso o importante d’attualità, e farne un numero di cabaret, magari la sera stessa. Non bastava ridere. Altrimenti si sarebbe fatto del varietà. Bisognava farne anche motivo di pensiero, di divertente dibattito intellettuale, come succedeva in passato nel romano Bagaglino o nel milanese Derby. Poi il cabaret è morto. Pace all’anima sua. Ma il suo fantasma è trasmigrato in TV, dove ha ripreso nuova vita. Per esempio, tanto per capirci, Maurizio Crozza, con il suo repertorio politico-satirico nel televisivo Paese delle Meraviglie, fa del cabaret.
Tra l’altro, non è soltanto una questione di tempi, di misure. Tant’è vero che, negli anni Settanta, nella cantina milanese del Refettorio, Maurizio Micheli, Riccardo Peroni, Silvia Arzuffi, Mirton Vaiani etc avevano creato una compagnia stabile di cabaret per mettere in scena, in una quarantina di minuti, rifacimenti satirici di noti canovacci. Trovato l’argomento giusto, si può andare da pochi minuti a qualche ora!
E infatti, al Teatro Menotti, lo spettacolo del Teatro Stabile del Veneto, “La cativissima – Epopea di Toni Sartana”, di Natalino Balasso, dura due ore con un intervallo. Ma sempre di cabaret si tratta.
L’argomento – d’attualità – che qui fa da centro motore dell’operazione drammaturgico-cabarettista sono: la corruzione, il peculato, il favore politico con le sue equivoche compra-vendite, l’assoluta mancanza di ogni senso morale, l’arraffare a più non posso, sempre mirando a una divinità superiore: i schei, i soldi, che tutto muovono, che tutto comprano, anche le anime. Qui, nella nostra pièce veneta, si è creato perfino l’assessore “ai schei” (d’altra parte, nella realtà, in altre regioni, c’è anche l’assessore ai tartufi!).
La storia. Al sindaco d’un paese veneto non bastano mai le modeste casse comunali (per le proprie tasche). Vuole di più. Vuole diventare “assessore regionale ai schei”. E per ottenerlo applica modelli delinquenziali da gangsterismo americano. Il sindaco Toni Sartana “non ha remore morali, è totalmente ignaro di ciò che significa correttezza”. Pur di arrivare, compra, corrompe, ruba, ammazza.
La pièce, ch’è tutta da ridere, per carità, è ovviamente assurda, macroscopica, debordante, non è Macbeth. Semmai, è un Macbeth al clinto, o al clintòn, vino vicentino (credo) di fresca beva, e di cui andava matto il sindaco in questione (ma anche i contadini veneti, d’estate, come dissetante non scherzano).
Assurda parabola dell’immoralità, peraltro sostenuta dal dialetto veneto, che conferisce colore e ricchezza espressiva, la pièce cabarettistica esibisce una sequela, un’antologia, una crestomazia di parolacce e di volgarità da far impallidire anche Plauto o Ruzante. Ma anche questo fa parte del repertorio linguistico veneto. Le stesse bestemmie venete (ma qui non si arriva a tanto) sono le più “creative” che esistano, in “nobile” gara con quelle aretine.
Se però un’importante istituzione teatrale, come la Stabile del Veneto, ha ritenuto di fare opera di meritoria divulgazione culturale portando extra moenia una tale esibizione di finezze linguistiche, non so, e non mi interessa. Interessa invece sapere che lo spettacolo, ch’è una ininterrotta esplosione d’ilarità, “fin a s-ciopàr dal rìdar”, si avvale di sei straordinari attori della Stabile: dal “sindaco” Natalino Balasso, un trascinante mattatore di simpatia (anche autore e regista), a Francesca Botti (“insaziabile” moglie), ad Andrea Pennacchi (il primitivo sgherro, degno compare del sindaco), a tutti gli altri, Marta Dalla Via, Silvia Piovan, Stefano Scandaletti.
“La cativissima” di/con Natalino Balasso. Al Teatro Menotti, Via Ciro Menotti 11, Milano. Repliche fino a domenica 6 dicembre.