MILANO, sabato 13 dicembre ●
(di Paolo A. Paganini) Per motivi abbastanza imperscrutabili (a cercar di scovare i tanti perché nascosti nei bauli dei teatri c’è da perdersi), Il “Sogno di una notte di mezza sbornia”, vetusto testo non originale di Eduardo (tratto, nel 1936, da Athos Setti) ha un paio di punti deboli che tenteremo i chiarire. Il primo è strutturale.
Se è una farsa (e ne avrebbe tutti i caratteri), è troppo lunga (due tempi di 35 e di 65 minuti): si arrotola su se stessa cincischiando nell’inutile ricerca di qualche nobile pretesto per una bella sganasciata, che arriva sempre fiacca e stiracchiata.
Se è una commedia comica, ce la mette tutta per far ridere, con macchiette stra-caricate, tra smorfie, mosse e mossettine ed entrate di scontata prevedibilità. Ma non ha il respiro della commedia e, comunque, non fa ridere. Il sorriso s’increspa sul labbro, e ci muore lì.
Il secondo misterioso motivo d’imperscrutabile interpretazione sta nella recitazione di Luca De Filippo, il quale, da sì nobili lombi teatrali, ha sempre (no, “quasi” sempre) portato avanti il repertorio di papà, con un fare, un’arte del porgere, un’impostazione di voce che non solo indicavano affetto e riconoscenza per tanto Maestro, ma erano essi stessi meraviglioso esempio di una perfetta, originale, azzeccata, apprezzatissima, affettuosa simbiosi di sangue teatrale.
Ora, Luca De Filippo ha abbandonato quei tempi, quelle meravigliose pause, quei gesti misurati e nel contempo efficacissimi, per buttarsi in un ridanciano effettismo, che, anziché ricordare Eduardo, richiama il Pappagone del fratello Peppino, altrettanto degno di artistiche considerazioni, ma di ben altra parrocchia. E, nell’imitazione, probabilmente inconscia, dello zio, ecco Luca in un repertorio infinito di smorfie, così poco eduardiane, che, in ogni modo, trovano nel pubblico del Franco Parenti affettuosi consensi.
Accenneremo appena alla storia, ch’è d’un mezzo ubriacone che, tra i fumi dell’alcol e le braccia di Morfeo, sogna Dante Alighieri. Questi gli dà quattro numeri da giocare secchi al Lotto, ma anche l’avvisa che i quattro numeri indicano la data e l’ora precisa della sua indevitabile morte, che avverrà dopo due mesi dal compleanno, alle 13. Il nostro novello Pappagone vince al Lotto seicento milioni. Consente alla famiglia, di plebee origini, di vivere la fasulla e ridicola esistenza dei parvenù. E lui, poveraccio, fa il conto alla rovescia in attesa dell’ora X… Amen.
Pubblico condiscendente e generoso di applausi.
“Sogno di una notte di mezza sbornia”, di Eduardo (tratto dalla commedia di Athos Setti, “La Fortuna si diverte), con Luca De Filippo, Carolina Rosi. Regia di Armando Pugliese. Al teatro Franco Parenti, Via Pier Lombardo 14, Milano. Repliche fino al 6 gennaio