Toh, ecco oggi il “teatro immersivo”. Il pubblico, sempre più partecipe all’azione scenica, sarà trasformato in palombaro?

Il Living Theatre, fondato nel 1947 da Julian Beck e Judith Malina (nella foto). 

(di Andrea Bisicchia) A corto di idee, chi fa teatro cerca di coinvolgere lo spettatore, facendogli credere di essere anche attore e autore dello spettacolo a cui sta partecipando, grazie alla facoltà, che gli viene offerta, di interagire, di fare delle domande, di acuire la sua sensorialità, di estenderne la partecipazione, fino a “immergersi” in ciò a cui assiste.
Lo spettatore, in tal modo, diventa protagonista di quello che viene chiamato “teatro immersivo”, dove non è più sollecitato a testimoniare o a riflettere su un evento teatrale, ma a fare “da spalla” e, quindi, a interagire.
Il “teatro immersivo” è l’ultima invenzione, prodotta da Moment Factory, che arriva dall’America, la stessa da cui arrivò la rivoluzione del Living con i suoi spettacoli che prospettavano già un nuovo ruolo dello spettatore, liberandolo dalla sua posizione frontale, per coinvolgerlo in una posizione “immersiva”, anche se, allora, il termine non era stato ancora coniato, posizione non più mediata dalla cultura, ma dalla immediatezza della rappresentazione. Si può pertanto dire che il rapporto tra lo spettatore e l’Opera a cui assisteva, era già interattivo, grazie alla decostruzione di una linea di teatro conservatrice, a vantaggio di una linea di teatro che faceva della ribellione il suo credo estetico, essendo, quello del Living, un teatro di accusa contro i dispotismi e le disuguaglianze, non solo economiche, ma anche razziali.
Intanto, altre forme di “teatro immersivo” arrivavano dalla Polonia, con Grotowski e con l’Odin Teatro, che catalizzarono la nostra attenzione e che, in nome di una interazione e di un coinvolgimento diretto, ci fecero abbandonare i teatri del centro storico per vivere l’esperienza degli spazi periferici.
Perché abbiamo fatto riferimento al passato? Per giustizia storica, dovuta alla consapevolezza che almeno due generazioni ne sono rimaste orfane, perché escluse da una creatività che, oggi, si intende riportare in vita partendo proprio dal luogo in cui era nata, ovvero al di là dell’Atlantico. Si tratta di linee di fuga necessarie per ogni rinnovamento della scena che, nel presente, deve fare i conti con ritrovamenti tecnologici sempre più sofisticati e con gli eccentrici apparati delle architetture luminose.

LA FABBRICA DELLO STUPORE!

Negli anni Settanta, l’immersione avveniva a contatto degli attori-performer, oggi avviene a contatto con sistemi luminosi che, a loro volta, riescono a creare delle dimensioni oniriche e ludiche. Lo spettatore del teatro immersivo, generalmente, è chiamato a percorrere più stanze di uno stesso edificio, non a gruppi ordinati, ma secondo scelte liberatorie. Ogni stanza è addobbata con una scenografia ed è costruita secondo una ricerca di senso affidata a un performer.
Sempre per correttezza storica, bisogna ricordare che un simile lavoro era stato fatto da Andrée Ruth Shammah con lo spettacolo “Varieté”, che vedeva il pubblico condotto nelle varie stanze del vecchio teatro, dove si poteva immaginare di incontrare degli spiritelli e di ascoltare le voci di Franco Parenti ed Eduardo, come se arrivassero dall’oltretomba. Per la medesima correttezza, bisogna ricordare il lavoro svolto da Massimo Munaro, col Teatro del Lemming, regista della Trilogia sensoriale che ammetteva, in alcuni casi, la presenza di un solo spettatore, coadiuvato da un performer, che attraversava sale completamente buie, arricchite da profumi e musiche esotiche.
Intanto, nel 2018, arriva dall’America “Roseline”, realizzato a Palazzo Calchi Taeggi di Milano, in Corso di Porta Vigentina, con la partecipazione totale degli spettatori che si muovevano in un’area del palazzo abbandonato, dopo aver ricevuto un mantello col cappuccio, da indossare per contribuire alle atmosfere decisamente dark. Ciascuno era libero di andare dove voleva, lungo i tre piani da attraversare, allestiti con rami secchi, ghiaia, pozzanghere, armadi, biblioteche, divani, letti etc. Si cercava una immersione sempre più coinvolgente, che, ancora più recentemente, si è avvalsa di Cuffie e di Sensori, come è accaduto nello spettacolo di Elio Germano, “Cosi è, se vi pare”, visto al Franco Parenti, con gli spettatori “immersi” in una realtà sempre più virtuale.
Attraverso la partecipazione attiva, vengono sperimentate nuove forme rituali, se non ludiche, anche perché i commenti, alla fine, da parte del pubblico, erano: mi sono divertito, benché consapevole di essersi mosso in un terreno di astrazioni, di percorsi, di contatti, anche fisici, capaci di sprigionare emozioni particolari. Insomma, in simili casi, lo spettatore non è chiamato ad assistere, bensì a intervenire, mentre girovaga nei vari spazi dove accadono cose strane, incomprensibili e dove sono assenti le regole del racconto tradizionale, dato che molto è affidato alla improvvisazione, oltre che all’immaginario dello spettatore, coinvolto, come un palombaro, negli abissi dei propri sensi, o almeno, così gli fanno credere.