Tom Cruise è Barry Seal, pilota d’aereo, corriere dei narcos e informatore federale. Una vita al limite. Tutta da ridere

(di Patrizia Pedrazzini) Barry Seal, scaltro pilota d’aereo e truffaldino corriere di droga e di armi realmente esistito, nacque (nel 1939) e morì (46 anni dopo), ammazzato a colpi di pistola su ordine dei fratelli Ochoa, esponenti del Cartello di Medellin, a Baton Rouge, in Louisiana. Accusato di riciclaggio di denaro sporco e di traffico di droga, nella realtà si accordò con il Governo degli Stati Uniti, divenne informatore per la Dea, l’agenzia federale antidroga, testimoniò contro il potente Cartello di Medellin, contribuì a far condannare parecchi narcotrafficanti colombiani, testimoniando infine anche contro il governo sandinista del Nicaragua. Un uomo astuto, assetato di denaro, deciso, sicuramente non limpido, dalla vita avventurosa e perennemente al limite. Uno che “se la va a cercare”. Ma anche, per tutti questi motivi, tanto “americano”.
Niente di cui stupirsi, quindi, che il cinema, dopo un paio di precedenti (Seal è già apparso sul grande schermo, interpretato da Dennis Hopper in “Un gioco pericoloso”, del 1991, e da Michael Paré in “The Infiltrator”, del 2016), lo ripeschi ancora una volta, facendone il protagonista di una pellicola che non a caso si chiama “American made” (tradotto da noi con “Barry Seal – Una storia americana”). E che appare, fin dalle prime inquadrature, tutta giocata sull’interpretazione di Tom Cruise, perfetto prima nei panni, tagliati su misura per lui, dello spericolato aviatore, poi ancora una volta alle prese con l’ennesima, incredibile, temeraria serie di missioni impossibili. E, fin qui, niente da eccepire. Ancorché quasi irriconoscibile (i maligni azzardano un lifting mal riuscito, ma magari il bel Maverick di “Top Gun” ha solo accettato di ingrassare un po’, per uniformarsi al viso tondo e paffuto del vero Seal), Cruise dà il meglio di sé quanto a doti atletiche, occhiate spavalde, immediatezza, competenza, simpatia. E gag. Purtroppo.
Perché se c’è un aspetto alla lunga irritante in questo film leggero nonostante l’argomento, condotto da Doug Liman (“The Bourne Identity”, “Mr. & Mrs. Smith”, “Edge of Tomorrow”) dall’inizio alla fine sul filo dell’umorismo e dell’ironia, dove tutto sembra avvenire per gioco, se non per scherzo, e la stessa morte è niente più che un incidente di percorso, è proprio l’eccessivo ricorso alle gag. Per cui, va bene che buttarla sul ridere non fa che sottolineare, ed enfatizzare, il lato assurdo e quasi inverosimile della storia, ma Tom Cruise non fa che ridere per tutto il film (e quando non ride ammicca, fa battute, sogghigna). E con lui ridono tutti gli altri: l’agente governativo che lo ingaggia per fare il doppio gioco in una delle operazioni sotto copertura più rischiose della storia statunitense; i narcos che a loro volta lo ingaggiano come corriere affidandogli, a pacche sulle spalle, incarichi ai limiti del suicidio, ma che Barry accetta sorridendo. L’unica che ride poco è la moglie, ma giusto perché proprio non ce la fa più a stipare armadi, forni, frigoriferi e ripostigli vari di tutti quei pacchi di dollari che il marito le porta a casa. Persino il cane ne ha trovato uno, scavando in giardino.
Insomma, un film leggero e frizzante, dal montaggio magari un po’ frenetico (ma poteva essere altrimenti?), sorretto da una colonna sonora incalzante. Alla fine un modo divertente per conoscere una storia vera. Di vita. Che non sempre, in fondo, va presa sul serio.