
Henri de Toulouse-Lautrec, Etude de nu. Femme assise sur un divan, 1882, olio su tela, Musée Toulouse-Lautrec, Albi, France
MILANO, martedì 17 ottobre ► (di Patrizia Pedrazzini) Eccolo qui, Henri de Toulouse-Lautrec (1864-1901). Anzi, il conte Henri de Toulouse- Lautrec, ultimo erede di una delle più prestigiose famiglie di Francia, nobile fin dai tempi di Carlo Magno. Eccolo, piccolo, bruttino, sgraziato, infelice, sempre malato, alcolizzato. Cui una deformazione ossea congenita (in casa si contava qualche tara ereditaria, e lui stesso era figlio di due cugini) e due pesanti fratture ai femori bloccarono la crescita delle gambe, rendendolo simile a un nano. Alla fine un colpo apoplettico se lo portò via a nemmeno 37 anni.
Eccolo qui, il cantore disincantato di Montmartre, dei postriboli, dei café chantant. I suoi can-can. Le sue prostitute senza vergogna e senza falsi ritegni. Il suo “popolo della notte”. Nessuno come lui, né prima, né dopo, ha saputo ritrarne l’anima, con realismo e rispetto.
Eccolo qui, nella mostra che Milano gli dedica, nelle sale di Palazzo Reale, fino al prossimo 18 febbraio. Con l’intento, dichiarato, di evidenziarne l’intero percorso artistico e la modernità.
Un obiettivo che l’esposizione sembra voler perseguire presentando un numero molto elevato di opere. Circa 250 (35 dipinti, più litografie, acqueforti, affiches, studi e bozzetti), comprese fotografie e incluse anche stampe non dell’autore. E compresa, questa sì abbastanza eccezionale, la serie completa di tutti i 22 manifesti realizzati dall’artista sul mondo dei locali notturni parigini, dal Moulin de la Galette al Divan Japonais, dalla Goulue a Jane Avril.

Henri de Toulouse-Lautrec, La clownesse assise, Mademoiselle Cha-U-Kao, 1896, litografia, tavola 1 della serie Elles, Bibliothèque Nationale de France, Parigi
Toulouse il bohémien. Toulouse sensibile all’influsso delle stampe giapponesi, senza le quali, forse, i suoi celebri manifesti, con i loro colori intensi, piatti e squillanti, non sarebbero risultati così audaci (e visibili anche da lontano). Toulouse cultore della neonata fotografia, tanto da incaricare gli amici di rappresentarlo in pose spesso ironiche, al limite della provocazione. Toulouse e la trasgressione. Toulouse e i bassifondi di Parigi.
Ecco, se questo è Toulouse, questo nella mostra di Palazzo Reale c’è. Peccato solo si abbia l’impressione, terminata la full immersion in tanta Belle Époque, che Toulouse sia solo questo: boudoir e bordelli. Perché, quasi schiacciati dai contenuti dei lavori esposti, la tecnica, l’estro, la capacità di osservazione, la poesia e l’onesto realismo (“Ho cercato di fare il vero, non l’ideale”, scriveva nel 1881) che emergono dalle opere del pittore rischiano di passare in secondo piano. Di non essere ben visibili e quindi apprezzabili. E non sarà certo qualche ritratto di cane o cavallo (o il delizioso “Étude de nu. Femme assise sur un divan”) a stabilizzare il precario equilibrio dell’iniziativa.
Per cui ben venga anche, all’interno della mostra, la serie di piccole fotografie stereoscopiche originali, diffuse all’epoca a uso e consumo dei frequentatori, con immagini reali tratte dalla vita delle case chiuse. Sono pertinenti, autentiche, reale specchio di un mondo. Ma cosa c’entrano le dodici vedute porno-erotiche (“Ehon Komachi-biki”) del giapponese Kitagawa Utamaro, serie di minuziosi accoppiamenti ispirati al mondo delle “case verdi”, i postriboli di Edo, l’attuale Tokyo? Ma veramente Toulouse-Lautrec ne aveva bisogno?
Ecco, è un po’ questa la domanda che affiora, a percorso espositivo concluso. Mentre, proiettato su uno schermo, un gruppetto di ragazze con i mutandoni bianchi saltella e fa andare le gambe sulle note del glorioso, immarcescibile can-can, e il ritornello musicale si diffonde fino a spegnersi, un po’ tristemente, di sala in sala. Tanto, troppo dèjà vu.
“Il mondo fuggevole di Toulouse-Lautrec”, Milano, Palazzo Reale, fino al 18 febbraio 2018.
www.palazzorealemilano.it
www.touluoselautrecmilano.it