Tra filosofia e politica, Platone sosteneva l’innocenza del pensiero. Oggi, tutto si risolve tra economia e tecnologia

(di Andrea Bisicchia) Dal 1985 in poi, Derrida abbandona, momentaneamente, il problema dell’Essere, o meglio, della decostruzione della metafisica, per approdare a temi etici e politici, aprendo un dibattito su moderno e postmoderno, allineandosi e scontrandosi con Habermas, per il quale il moderno è un progetto incompiuto, mentre per lui l’ideale emancipativo della modernità è stato messo in crisi dal postmoderno. Come dire che non c’è posto per gli ideali, essendo sottoposti all’aporia delle “strutture oggettive” e, quindi, della decostruzione, sempre presente durante la “curvatura” della Politica.
Dopo la sua morte (2004), sono stati pubblicati due libri che hanno in comune il tema della responsabilità, dell’ospitalità, del rapporto tra colpa e perdono, dello scontro tra filosofia e politica.
Mi riferisco a “Perdonare”, edito da Cortina, e a “Tentazione Siracusa”, edito da Mimesis, nel quale troviamo la stessa idea di perdono, contrapposta a quella di innocenza. Entrambi i testi, sono il frutto di due relazioni, una tenuta all’Università di Cracovia (1997), una tenuta a Siracusa, in occasione della cittadinanza onoraria conferitagli nel 2001.
Questo secondo volumetto, oltre a contenere la Lectio Magistralis, è arricchito da tre brevi, ma intensi saggi di Caterina Resta, profonda conoscitrice del pensiero di Derrida, a lei dobbiamo il volume edito da Boringhieri: “L’evento dell’altro. Etica e politica in J. Derrida”, di Elio Cappuccio e di Roberto Fai che, nei loro scritti, fanno spesso riferimento al filosofo franco-algerino. Roberto Fai lo cita più volte in “Genealogie della globalizzazione”, Mimesis.
Tutti e tre gli studiosi si intrattengono sul tema del potere e del rapporto tra filosofia e politica, in particolare, del loro conflitto, che Derrida fa risalire alle visite di Platone a Siracusa, durante il governo di Dionigi e di Dione. Nella Lectio, professa l’innocenza del filosofo, la sua nudità dinanzi al potere, proprio perché si sente “politicamente in colpa”, essendo il suo agire, anche se impegnato, ben diverso dall’agire politico. Così, dalla “tentazione platonica”, quella espressa dal filosofo nella lunga “Lettera VII”, dove esorta l’uomo di potere a essere anche un uomo di pensiero, Derrida arriva ai giorni nostri, convinto che il rapporto tra intellettuale e potere sia sempre dipeso dal modo con cui si esercita la sovranità. L’innocenza del filosofo consisterebbe, pertanto, nel non volersi sottomettere a chi governa, soprattutto quando la sovranità è messa in discussione da poteri capitalistici che si oppongono larvatamente a ogni forma di democrazia, tanto che Derrida utilizza, per essa, il tempo futuro, parlando di “democrazia a venire”.
Oggi, la mondializzazione ha demandato tutto all’economia, che, a sua volta, ha affidato il suo operato alla tecnica, sempre più inumana. A causa della mondializzazione, le popolazioni sono soggette all’erranza e sono in cerca di cittadinanza e di ospitalità che non vuol dire “accogliamoli tutti”, perché essa va distinta dal problema dell’immigrazione, che è ben altra cosa, avendo generato l’ostilità nei confronti dell’ospitalità. Anche in “Perdonare”, Derrida si intrattiene sul tema dell’accoglienza, da intendere come “dono”, fino al punto di chiedere “perdono” per non donare abbastanza e per non potere accogliere abbastanza.
Sono proprio queste le aporie in cui, dice Derrida, ci si sente aggrovigliati. Forse, per questo motivo, Roberto Fai è ricorso all’ossimoro “Fraterna inimicizia”, titolo del suo saggio, evidenziando le difficoltà di rapportarsi all’altro a causa di una globalizzazione che ha mutato la struttura stesse del mondo e dell’agire umano.

Jacques Derrida, “Tentazione di Siracusa”, a cura di Caterina Resta, postfazione di Elio Cappuccio e Roberto Fai – Editore Mimesis 2019 – pp 72 – € 6.