MILANO, mercoledì 10 maggio ► (di Emanuela Dini) – La commedia ha quasi 70 anni, ispirata ad Arthur Miller da un fatto di cronaca che lo turbò parecchio, “Uno sguardo dal ponte” andò in scena nel settembre del 1955 a New York, con poco successo, poi, in una seconda versione rimaneggiata e allungata nell’ottobre del 1956 a Londra con la regia di Peter Brook.
In Italia la prima regia teatrale fu quella di Luchino Visconti nel 1958, e gli attori erano Paolo Stoppa, Rina Morelli, Paolo Giorda, Ilaria Occhini, Sergio Fantoni, Corrado Pani. Nel 1962 ne venne fatto un film con regia di Sidney Lumet e protagonista Raf Vallone e poi, negli anni, innumerevoli versioni teatrali e anche un’opera, anno 1999, prima mondiale al Lyric Opera of Chicago, composta da William Bolcom e diretta da Dennis Russell Davies, con collaborazione al libretto di Miller, presente e applauditissimo in teatro.
Una pietra miliare, dunque, innumerevolmente riproposta nei teatri di mezzo mondo. Una storia a tinte cupe, dove amore, paternalismo, omertà e violenza si intrecciano drammaticamente e disegnano i contorni labili tra giustizia, legge, sentimenti e morale.
Nel sobborgo di Red Book, dalle parti di Brooklyn, negli anni ’50, vive l’immigrato italiano Eddie Carbone, con la moglie Beatrice e la nipote diciottenne Catherine, di cui è tutore legale in seguito alla morte dei genitori di lei. Una famiglia italo americana, di origine siciliana, dove il padre padrone Eddie accetta malvolentieri di vedere crescere Catherine, a cui è legato da un affetto un po’ troppo affettuoso che arriva ad assumere toni incestuosi, sempre soffocati. Quando arrivano due cugini siciliani, immigrati clandestini, e Catherine si invaghisce di uno dei due arrivando a volerlo sposare, Eddie, pur di non fare “andare via” Catherine – “Lasciala andare, lasciala andare…” lo supplicano invano la moglie e l’amico avvocato – denuncia i due cugini, che verranno arrestati. Ma uno dei due, e non è l’innamorato di Catherine, si vendicherà, uccidendo Eddie.
Massimo Popolizio, protagonista e regista, ha spiegato che la sua messa in scena «Assomiglia molto a una sceneggiatura cinematografica, e, come tale, ha bisogno di primi, secondi piani e campi lunghi. Alla luce di tutto il materiale che questo testo ha potuto generare dal 1955 a oggi, cioè film, fotografie, serie televisive credo possa essere interessante e “divertente” una versione teatrale che tenga presente tutti questi “figli”. Una grande storia, raccontata come un film… ma a teatro. Con la recitazione che il teatro richiede, con i ritmi di una serie e con le musiche di un film».
Il risultato è accattivante, ma con qualche lieve perplessità. Elegantissima e ronconiana la scenografia, con i mobili che vengono spostati a vista; suggestive le luci taglienti che ricreano un’atmosfera da film in bianco e nero (appunto); evocativa la scena della denuncia dei cugini all’ufficio immigrazione, con un telefono che cala dall’alto; partecipati e empatici i dialoghi tra Eddie e l’avvocato, che tenta invano di farlo ragionare; onirica la scena dell’omicidio di Eddie, che cade a terra al ralenti e poi guarda beato verso il pubblico, a occhi socchiusi verso il cielo, come se la morte fosse un’agognata liberazione.
Però, però…il peso del dramma, la tragedia, la voragine morale di un innamoramento proibito assumono toni grotteschi, i personaggi rischiano di diventar macchiette dalla parlata siciliana stretta e con caratterizzazioni quasi caricaturali, tutti urlano e corrono troppo e i momenti più forti e drammatici – i dialoghi tra Eddie e l’avvocato, la consapevolezza di Catherine di volere troppo bene allo zio, la vergogna della denuncia dei cugini – rimangono a mezz’aria e non si tingono di nero.
Popolizio in grande spolvero regala momenti da guitto, gigioneggia con grandissima maestria ed è una gioia degli occhi e un capolavoro di bravura vederlo barcollare, motteggiare, parlare in falsetto, immolarsi in “fermi immagine” squisitamente cinematografici; tutti gli altri corrono, saltano, ballano, insomma non stanno mai fermi; l’avvocato è quasi un bonaccione e non ha l’autorevolezza della “voce della coscienza” o il ruolo da narratore da coro greco che ci si aspetterebbe.
Comunque un signor spettacolo di 90 minuti senza intervallo, un meccanismo perfetto, una messa in scena di grande efficacia.
Applausi a scena aperta e una vera e propria ovazione a Popolizio, che riesce a fare anche del momento dei ringraziamenti un pezzo di teatro. Mostruosamente bravo.
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“Uno sguardo dal ponte” di Arthur Miller (traduzione Masolino D’Amico), regia Massimo Popolizio, con Massimo Popolizio, Valentina Sperlì, Michele Nani, Raffaele Esposito, Lorenzo Grilli, Gaja Masciale, Felice Montervino, Marco Maravacchio, Gabriele Brunelli, Marco Parlà. Scene Marco Rossi, costumi Gianluca Sbicca. Produzione Compagnia Umberto Orsini, Teatro di Roma – Teatro Nazionale e Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale. Al Piccolo Teatro Strehler di Milano, largo Greppi, fino al 21 maggio
La tappa milanese è una delle ultime di una tournée iniziata il 31 gennaio a Spoleto, che riprenderà in novembre a Bolzano e Napoli.