Tragica poesia d’un amore africano, ma emblematico e senza confini. Con alcuni inquietanti riferimenti a storie recenti

MILANO, mercoledì 14 giugno ► (di Paolo A. Paganini) Innamorarsi? Ci si innamora dell’idea che si ha dell’amore per un’altra persona. Quindi l’amore è di per sé solo un concetto. Un concetto che è in noi. Quindi, in fondo, ci si innamora solo di noi. Non so chi l’ha detto, forse l’anaforista Pessoa. Mah. Questo per dire che l’amore è una brutta bestia, che invade anima e fantasie. Se poi mettiamo uno di fronte all’altra un uomo solo, in un paese arabo dell’Africa del Nord, forse un agente immobiliare, che studia un’antica cittadina in riva al mare, dove, forse, è previsto un devastante mega-complesso turistico, e una giovane donna araba, aperta d’idee, ma con tanto di fratelli difensivi, si può già capire come andrà a finire. Male.
Ma ci sono altre due considerazioni da fare, se non tre, a proposito di “Ritratto di donna araba che guarda il mare”, di Davide Carnevali, visto al Franco Parenti (un’ora e dieci), con la regia di Claudio Autelli.
La prima considerazione è che l’amore di una donna passa generalmente attraverso più fasi: la prima è la diffidenza come naturale autodifesa; la seconda è la curiosità. E a questo punto è fritta. Esplodono amore e passione, come sentimento totalizzante, accettando senza condizioni la resa a un uomo, ancorché sconosciuto e straniero. Lo pensa, lo sogna, ne soffre la lontananza. “Che cosa mi hai fatto, uomo? Che cosa mi hai fatto?”, ripete con l’insistenza di un’ossessione. Ma è anche l’uomo che pensa a qualche stregoneria.
Ricordo che, in Marocco, alcuni anni fa, una cara amica di Marrakech mi spiegava che poteva anche capitare che una donna araba, con un discutibile senso del possesso, sposata a un europeo, volesse tenerlo tutto e solo per sé. Poteva, per esempio, somministrargli sostanze debilitanti nel the della mattina, che, dopo qualche ora, l’avrebbero fatto star male, costringendolo a tornare a casa dal lavoro. Un po’ alla volta, prima o poi, si sarebbe formata nell’uomo la certezza che stava bene solo a casa. E decideva di lasciare ogni impegno fuori casa, lavoro compreso. Trionfale e stupida vittoria della donna.
La storiella non riguarda il testo di Carnevali. Ma un po’ di questo amore totalizzante, per lontani echi, si ritrova anche nel “Ritratto di donna araba”. La fanciulla, anche quando l’uomo se ne andrà, sogna ed è sicura di essere portata da lui in Europa in un futuro d’amore eterno. Ma l’uomo s’è già stufato. Altro stereotipo di tipologia maschile. Sì, sì, dice di amarla, ma adesso finiamola lì. Qui cominciano i veri tragici problemi dei rapporti d’amore, quando finiscono. Anche perché non cominciano e non finiscono mai nello stesso momento per entrambi. Uno dei due non si rassegnerà. Le conseguenze sono di lettura comune sui nostri giornali.
Eppoi, inquietante, c’è un’atra lettura, forse qui considerata solo a titolo personale. Ma con una sofferenza e una commozione che trascendono il testo. In quel giovane uomo, pieno di curiosità, innamorato dell’affettuosa cordialità del popolo arabo, tanto che parlava con tutti e prendeva appunti e schizzava disegni sul suo prezioso taccuino, mi è parso di avvertire, con imbarazzante verosimiglianza, la tragica esistenza del giovane ed entusiasta dottorando italiano in Egitto, quando l’anno scorso…
La potenza dell’arte e del teatro, ancorché casuale, seppur così diversa nelle circostanze e nelle situazioni, qui è di per sé fuori contesto, anche perché l’opera di Carnevali è antecedente, è del 2013 (Premio Riccione).
È teatro di parola. Si allude. Le azioni sono accennate o riferite. E le parole, che scivolano con ambiguità sui due giovani che parlano lingue diverse, accennano, descrivono – con potenza poetica – stati d’animo e immagini d’un esterno più sognato che reale, e, proprio per questo, teatralmente perfetto, facendo vivere nello spettatore riverberi d’emozioni. E poi quel bianco modellino di paese, assolato, in riva al mare, ripreso nei minimi particolari da una cinepresa, che rimanda le immagini in diretta sul fondale. Affascinante.
La resa inerpretativa è di magistrale per potenza e concisione. Bene. Onore al merito ad Alice Conti, Michele Di Giacomo, Giacomo Ferraù e Giulia Viana. (Ma quando si decideranno ad indicare in programmi e comunicati la distribuzione degli interpreti e dei personaggi?)

RITRATTO DI DONNA ARABA CHE GUARDA IL MARE, di Davide Carnevali. Regia Claudio Autelli. Repliche fino a domenica 25 giugno. Al Teatro Franco Parenti, Via Pier Lombardo 14, Milano.
www.teatrofrancoparenti.it