Tragici eventi e disastri cosmici. Oggetto di ragionamenti e dotte disquisizioni. Oggi materia anche di messinscene

(di Andrea Bisicchia) – La grande Storia è fatta di cesure, di lunghe sospensioni, di pause dovute soprattutto alle guerre e alle catastrofi naturali che sono causate da fenomeni imprevedibili, per i quali, non basta la scienza o la ragione a scongiurarle. Le guerre, lo sappiamo, sono costruite su false verità, le catastrofi, invece, sono generate da eventi imponderabili che, a loro volta, si trasformano in “eventi” per i mezzi di comunicazioni.
In Teatro, per esempio, l’evento del performer è realizzato hic et nunc e qualche critico lo considera il vero spettacolo di oggi. La catastrofe, spesso, viene trasformata in un evento spettacolare.
Wittgenstein, all’inizio del suo “Tractatus”, sosteneva che il mondo è tutto ciò che accade, come dire che l’accadere, anche non previsto, sta a base della nostra esistenza, proprio come un evento, col compito di annullare il passato, puntando tutto sul presente. C’è da dire che gli eventi, specie se cosmici, creano delle oscillazioni quasi sempre traumatiche e spesso ci si chiede chi ne possa essere il responsabile.
Andrea Tagliapietra, ordinario di Storia della filosofia, partendo dal terremoto di Lisbona (1755), che rase al suolo la capitale del Portogallo, ha raccolto in un volume, edito da Cortina, “Voltaire, Rousseau, Kant. Filosofie della catastrofe”, una serie di scritti che fanno luce sull’argomento.
A dire il vero, Tagliapietra parte dai “Timeo” di Platone, il cui protagonista racconta a Solone che “per molti e molti anni sono stati e saranno gli stermini degli uomini, più grandi per il fuoco o per l’acqua, altri minori per moltissime altre cagioni”, per arrivare alla “Poetica” aristotelica, dove si legge che la catastrofe, nel corso della messinscena, è da ritenere l’elemento drammatico più significante, la vera svolta che decide il finale di una tragedia.
Successivamente, Tagliapietra passa ad analizzare i testi in cui il tema della catastrofe si arricchisce di significati e valori filosofici. Di Voltaire ricorda i suoi saggi sulla “Teodicea” di Leibniz, sul rapporto tra conoscibile e inconoscibile, sul senso di colpa da attribuire a Dio o all’uomo, e ancora quello su “Il saggio sull’uomo” di Alexander Pope, manifesto esplicativo sulla “illusione di collegare ogni parte del disegno, al tutto, in una ininterrotta catena di esseri”. Ricorda, inoltre, il “POEMA” sul disastro di Lisbona, che Voltaire invierà a Rousseau, che, non trovandosi d’accordo su certe sue tesi, gli rispose con una lunga lettera, a Diderot e a D’Alambert, mentre di Kant analizza “Storia universale della natura e teoria del cielo”, dove le catastrofi appaiono come costanti della storia della natura che, proprio per questo, si mostra all’umanità nella sua incompiutezza. In fondo, Kant tratta la terra come un essere vivente che nasce, cresce, invecchia e muore, per poi riprendere il ciclo iniziale, considerazioni che riprenderà in un’altra opera “Ulteriori considerazioni sui terremoti recenti”.
Il lettore si trova dinanzi a un dibattito affascinante su un argomento drammaticamente sempre attuale.

“VOLTAIRE; ROUSSEAU; KANT: FILOSOFIE DELLA CATASTROFE”, a cura di Andrea Tagliapietra, Cortina Editore 2022, pp. 210, € 14.

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