(di Paolo A. Paganini) Si ha subito una piacevole sorpresa. Nella prima parte di “Il paradosso di Pancrazio”, di Luigi Pistillo, ci si imbatte in simpatici intercalari di vernacolo meneghino. Al di là del colore, sono, in fondo, un’accattivante prova d’amorosi sentimenti meneghini, qui ancor più apprezzati, visto che l’eclettico Pistillo è nato a Campobasso. Ma, si sa, ormai, siamo tutti più o meno “foresti”, in questa contraddittoria città, Milano, suscitatrice di profondi amori, ma anche di odiosi moti d’insofferenza, d’insopportabili disagi. Sottolineiamo questi caratteri perché emergono con divertita crudezza in questo lavoro di Pistillo, cresciuto a Milano, ma d’indole giramondo. Tra amore e odio, comunque, è stato scelto il primo. E l’autore ci si sguazza dentro, nel bene e nel male. E, questa volta, più nel male che nel bene.
A leggere questo suo romanzo (dovremmo intenderci su questo termine, avendo qui la struttura di racconti concatenati a capitoli a sé stanti, con un sottofondo picaresco, che ben delinea i dominanti caratteri cialtroneschi del mondo contemporaneo, non solo milanese) si prova di primo acchito, come accennato, un piacevole godimento linguistico, come una specie di omaggio all’ormai tramontata milanesità popolare, con i suoi umori, con le sue strepitose esternazioni dialettali, da “Se gh’è?” a “Mi capissi nagott…”, da “L’è conscià de sbatt via” a “Gira e rigira l’è sémper la stessa menada”, fino al classico “Va’ da via i ciapp”, o, al massimo dell’incazzatura, “Ma va’ a dar via el cu!”…
E c’è il rimpianto per aver perso, con il dialetto, tante altre cose, a Milano.
Nel romanzo, il padre di Pancrazio, degustatore del meneghino, si lamenterà, giustamente: “Nessun milanes. El me tocca parlà solament in italian…”
Si diceva del romanzo. All’inizio, si ha l’impressione di leggere le corpose didascalie d’un canovaccio teatrale. Pistillo spiega, a uno a uno, caratteri natura e vizi dei maggiori personaggi, soprattutto il protagonista Pancrazio, che poi, via via, sarà il massimo artifex delle sue storie.
E la “commedia” inizia, quindi, con il padre del Pancra, per passare poi agli altri personaggi: la madre, l’amico Franco eccetera. Basta. Infine descrive amori, amorazzi e storiacce. E la magica atmosfera popolaresca, creata all’inizio, va a farsi benedire, sperdendosi fra le grevi nebbie di una giovinezza sbalestrata, che ben presto incoccerà in cialtroneschi fanfaroni del sottobosco politico. Altro che sperare in qualche generosa raccomandazione! Svanisce presto per tutti il sogno precario di almeno una paga per un lesso.
Pancrazio, emblematico e smagato antieroe di quel (questo) mondo giovanile, svuotato d’ideali, ma ingenuo e avido di esperienze, si limita a veleggiare lungo un dorsale di “piccole ricompense… baci, palpeggiamenti, occhiate lascive eccetera…” o cedendo alle sirene degli immensi e fasulli spazi delle chat, tra bidonanti illusioni di fatali incontri amorosi. Ci saranno, ahinoi, con un lungo corteo di donnacce, stregoni, gay, siringhe, disavventure sanitarie e intriganti storie di vicinato. Storie di Milano, insomma…
Luigi Pistillo, scrittore, attore, organizzatore di eventi artistici, ha qui il gusto della “situation comedy” a puntate, con battute che spesso ti sfrecciano con un accecante baluginio che ti fa perdere il senso del reale. Va detto, che le suddette situazioni ci sembrano, talvolta, un po’ tirate per i capelli. Ma se si considera che la morale di questo “romanzo non romanzo” sta nel risvolto d’una narrazione che si muove sul tragico orlo del vuoto contemporaneo, guardando sul fondo s’intravedono solo le macerie d’un mondo “paradossale”, dove vermificano, ridendoci sù, la povertà degli ideali, l’angoscia del vivere quotidiano, l’avidità, la volgarità, la violenza.
“Il paradosso di Pancrazio”, di Luigi Pistillo. Prefazione di Andrea G. Pinketts. Ugo Mursia Editore, 2014 – pp 240 – € 16.