17 settembre 2014
(di Paolo A. Paganini) La stagione teatrale 2014/15 sta per cominciare, e qualche fedele ed appassionato spettatore, ancora una volta, si chiederà, stupito, perché mai oggi in palcoscenico gli attori quasi sempre utilizzino il microfonino, perfino in teatrini di 500 posti, e anche meno. Una volta non ce n’era di bisogno, ciascuno sapeva tirar fuori la voce, appoggiata sul diaframma, usando una corretta respirazione, conoscendo cosa volesse dire parlare di petto o di gola o in maschera, come insegnavano le buone scuole di recitazione, e le parole fluivano, chiare e distinte, in qualsiasi angolo del teatro, senza che fosse gridata. Inoltre, questo sfregio tecnologico, appoggiato sulla guancia, come uno sgradevole insetto, è anche brutto a vedersi. E non tutti sono Carmelo Bene, esaltatore del “fonè”, che usava la voce e ogni tipo di strumento modulatorio per miscelare i vari fonemi costitutivi la parola in un gioco di coloriture virtuosistiche.
Anni fa, Paola Borboni, autorevole presenza scenica anche in tarda età, disse: “Più nessuno sa usare la voce. Il cinema, il doppiaggio e la televisione hanno reso inutile l’uso della voce appoggiata sul diaframma: in sede di montaggio i tecnici fanno quello che vogliono, aumentano i volumi, cambiano i registri, possono perfino modificare il timbro… E quasi tutti, specie i giovani, hanno dimenticato come debba essere correttamente usata la voce affinché non s’impigli in gola. Si sono abituati a tenersela lì, ingolata tra palato e laringe, parlando poi fra di loro, girando spesso – addirittura – le spalle alla platea. Ma in teatro, anche un bisbiglio deve arrivare all’ultima fila senza amplificatori, e se non l’appoggi sul diaframma, non arriva nemmeno alla terza fila...”
A parziale disamina, c’è da dire che le sale teatrali oggi sono studiate con altri criteri, non sono più come quelle di una volta, che godevano di un’acustica perfetta, grazie al legno e ai velluti, i quali non erano un accessorio lussuoso ed estetico. Servivano a non far rimbalzare la voce (v. eco e rimbombo), come invece succede oggi, avendo tolto quasi tutti i velluti, dalle pareti, dalle poltrone, dai palchetti, e di legno ne è rimasto poco… Inoltre, nella collettiva, imperante esaltazione tecnologica, oggi l’acustica è una scienza pressoché perfetta, con microfoni anche direzionali, che consentono fedelissime e nitide riproduzioni… Il diaframma, dicono, che vada a farsi benedire!
E, poi, le sale teatrali non sono più come quelle di una volta (in molti teatri ci sono isole acustiche incredibilmente sorde). Gli stessi spettatori, poi, hanno un rapporto diverso con il teatro (pietà, non parliamo d’una diversa cultura teatrale!). Tutto viene acriticamente accettato, l’applauso finale non si nega a nessuno. E ciò è bene. Ma quando mai si sono visti, in platea, gli uomini togliersi la giacca (quando c’è) e rimanere in maniche di camicia?
TRIBUNA – Ma gli attori sanno ancora impostare la voce sul diaframma senza dover ricorrere ai dilaganti microfonini?
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