(di Patrizia Pedrazzini) Speranze mal riposte, sogni sfumati, disillusioni, fallimenti. Ma quanto è triste “La Ruota delle Meraviglie”, l’ultimo film di Woody Allen. Triste e infelice. Come le vite dei suoi quattro, anzi cinque, protagonisti. Ginny (Kate Winslet), attrice mancata ridotta a fare la cameriera in un modesto ristorante di pesce; suo marito Humpty (Jim Belushi), semplice, fragile e vulnerabile manovratore di giostre; Mickey (Justin Timberlake), bagnino di discreto aspetto con aspirazioni da commediografo; Carolina (Juno Temple), figlia di Humpty, che torna alla casa del padre nell’intento di sfuggire all’ex marito gangster; Richie (Jack Gore), figlio di Ginny, ancora piccolo, ma in vena di appiccare incendi a destra e a manca. Quattro (cinque) personaggi insoddisfatti, frustrati, rassegnati, incapaci di emergere dal pantano delle miserie umane nel quale lentamente si muovono, e di dare ai sogni e alle speranze, che pure hanno, un minimo di concretezza.
Quello che ne deriva è un dramma sulla responsabilità individuale che in più momenti arriva a evocare le tematiche etiche e sociali care a Tennessee Williams e ad Arthur Miller, piuttosto che l’intelligente ironia, le battute sagaci, l’umorismo squisitamente yiddish che da sempre definiscono la produzione del regista newyorkese. Non che qualche buona battuta non faccia capolino anche in questo film, ma riguarda esclusivamente la figura del figlioletto piromane, ragion per cui veleggia fra l’amaro e il surreale, liberando, al più, una risata a denti stretti.
Il tutto ambientato – e mai contrasto fu più efficace – negli anni Cinquanta (per Allen, l’ennesimo ritorno ai tempi andati), per la precisione nel parco divertimenti di Coney Island, a est di Manhattan. Un Luna Park particolarmente caro al regista, che in “Io e Annie” già lo aveva utilizzato per collocarvi, sotto le sferraglianti montagne russe conosciute come “Cyclone”, la casa dell’infanzia del protagonista. Un luogo di gioco, di divertimento, e quindi di allegria, che fa da sfondo opposto e contrario, con la sua onnipresente grande ruota, che gira al ritmo di musiche retro, alle miserie umane nelle quali si dibattono gli uomini e le donne della storia. Alle loro contraddizioni, all’ipocrisia che si infiltra nelle loro esistenze, alle gelosie, ai tradimenti.
Soprattutto di Ginny, un’anima in pena convinta di aver buttato via la propria vita, insoddisfatta, indifferente al marito e a tutto ciò che lo riguarda, compresa la fragile Carolina, e che si illude di trovare in Mickey un’ancora di salvezza, che ovviamente si rivelerà effimera. Più positivo, nella sua semplicità, il debole Humpty, cui il ritorno della figlia sembra ridare nuova voglia di lottare, quasi la vita gli offrisse una seconda possibilità, che l’uomo peraltro è fermamente deciso a cogliere. Mentre l’improponibile bagnino Mickey, ex marinaio di belle speranze, sembra messo un po’ lì a fare la parte del destino, che quasi senza rendersene conto fa sì, o lascia, che tutto avvenga. Per cui la sola a pagare, alla fine, è la giovane, tutto sommato inesperta e “innocente”, Carolina, mentre per gli altri la vita continua a girare senza evidenti scossoni, esattamente come la grande ruota sulla quale s’affacciano le finestre del modesto appartamento di Ginny e Humpty. I quali riescono solo a perpetuare i loro comportamenti, agendo sempre secondo gli stessi schemi, vittime di un circolo vizioso che non riescono a spezzare.
Pittoresca la riproduzione “d’epoca” della spiaggia di Coney Island, con la gente, il lungomare, i chioschi, le cabine. All’interno della quale il direttore della fotografia, e tre volte Premio Oscar, Vittorio Storaro (al secondo film di Woody Allen dopo “Café Society”), dipinge uno stile visivo che associa sfumature di colori contrastanti alle due protagoniste femminili: toni caldi – giallo, arancione, rosso – per Ginny; tinte fredde – azzurro chiaro soprattutto – per Carolina. Mentre l’appartamento in cui i protagonisti si muovono, vicinissimo alla ruota panoramica, ne riflette le luci, proiettando sui personaggi pennellate di rossi e di blu molto saturi. Il risultato? Un’atmosfera da dramma teatrale.
Triste, infelice, disillusa. Così è la vita all’ombra della ruota delle meraviglie. Per un Woody Allen a corto di umorismo
13 Dicembre 2017 by