Tutti all’Expo. Con l’acquolina in bocca. Quando anche abbuffarsi non basta più: bisogna farlo all’utima moda

expo logo 2MILANO, venerdì 1 maggio  ♦
(di Noblat) Porn food. Termine inglese che indica il piacere quasi sessuale di mangiare o, peggio ancora, anche solo di vedere una pietanza. È stata inventata persino una nuova parola per codificare la moda che ormai da anni imperversa intorno al cibo e a chi lo prepara. A chi non è capitato di vedere al ristorante qualcuno che fotografa un piatto presentato particolarmente bene, magari in un locale particolarmente modaiolo, per poi caricare l’immagine su un qualche social network e, diciamo così, vantarsene? Perché, alla fine, solo di vanagloria si tratta.
Ma non divaghiamo. Tentiamo di concentrarci sul cardine della questione, su quella che è l’apoteosi di questo discorso, di questa moda, di questo quasi stile di vita: Milano e, con essa, l’Expo. La capitale del gusto, la Milano da bere, il centro dell’industria e dell’economia, il traino dell’Italia. La città che tutti odiano e nella quale tutti bene o male vorrebbero vivere. Il luogo cui non manca nulla, ma in cui tutto è così tremendamente poco funzionale, e funzionante.
Senza stare a ripercorrere la storia del capoluogo lombardo dal secondo dopoguerra ad oggi, chi comunque non ricorda o non ha sentito almeno una volta definizioni quali “Milano da bere” o “Capitale della Moda”? È sufficiente una rapida scorsa all’ultimo manualetto di storia per capire come questa città fosse diventata, alla fine del XX secolo, qualcosa di molto simile ad una nuova America, ovviamente molto più piccola, dove chi aveva idee, e soldi, poteva farsi strada fino alla cima di una società fondata sul Martini e su Armani. Ma veniamo ai giorni nostri.
Per quanto banale possa essere, parlare di Milano oggi vuol dire parlare dell’Expo 2015. Il che fa anche comodo, in quanto il discorso sul cibo coinvolge necessariamente anche questa gigantesca esposizione internazionale. Da quando ci si emoziona per un “ristorante-supermercato-bar-centro di ritrovo-luogo dove fare le foto e portare gli amici da fuori” come il megastore che ha sostituito il Teatro Smeraldo, usandolo addirittura come attrazione e scrivendo sopra ad un mini-palco “IL PALCO DELLO SMERALDO”? Ah! Mattacchioni! Come la testa del re sconfitto conficcata sulla lancia. Ma che fare. Il teatro era in perdita? No. Era privo di pubblico tra un “Legnanesi” e un “Aldo, Giovanni e Giacomo”? No. Per caso stava crollando? No! E perché allora l’hanno venduto? Perché questa catena, o almeno il suo progetto, faceva tendenza, era di moda e avrebbero comunque ottenuto un proprio spazio, se non lì da qualche altra parte.
Beninteso, non si dice che non si mangi bene o che non si trovino eccezionali o raffinate prelibatezze in quel centro. Chi non si è mai augurato di trovare, tra una confettura di pesca bianca e una di pesca non bianca, una tavoletta di cioccolato “Sesso” da 50 grammi, a base di cioccolato, maca, damiana e noci di cola? Insomma, tra un debito pubblico e i gommoni nel Mediterraneo, l’Italiano dovrà pur distrarsi pensando alla cucina.
E dev’essere per questo che, uscendo dall’ex-Smeraldo, sulla sinistra si può vedere un gran cartellone con scritto, bello in grande, “CULATELLO DA MEDITAZIONE”, pubblicità del locale aperto al di sotto e nel quale si possono degustare specialità d’Italia. Conoscevamo il vino da meditazione, la birra e i cuscini, ma il salume ci mancava. E allora, doppi sensi permettendo, perché non aggiungere anche un bel “Welcome to Brera” (“Benvenuto a Brera”) sul fianco, così, tanto per farla completa e in modo tale che chiunque, milanese o no, italiano o straniero, arrivato a Porta Garibaldi abbia ben in mente cosa lo aspetta?
Quindi come stupirsi se l’Expo stessa, l’esposizione internazionale, il luogo dove si dovrebbero vedere le eccellenze dell’Homo Sapiens Sapiens, sia dedicata al cibo? Perché il cibo è importante? Lo sanno tutti, anche l’ultimo degli animali, e da sempre. Per vedere quello che si mangia in giro per il mondo? Basta aprire Internet per copiare le ricette dei piatti del Bangladesh. E lasciamo ad altri la dozzinale ironia sul fatto che l’Expo sia alla fine un gran “magna magna”. Però, torniamo indietro nel tempo e immaginiamo le aspettative di un’Expo. Nuovi fantascientifici computer? No. Prototipi di vetture ecologiche? No. Sistemi alternativi per l’energia pulita? No. Come raggiungere Marte? No. Progetti per la cura del cancro? No. E allora cosa? Una fumante amatriciana. O un gelido sushi.
Eventi, luoghi, fatti, bene o male isolati, tuttavia ambasciatori di una tendenza e di una moda ormai diffusa, di un modo di pensare che mette il cibo davanti a tutto, quasi fosse una malattia. E dove cercare l’origine di questa Cariddi, se non nella televisione? È così che, dopo essersi gettati nell’Abisso, dopo aver navigato nel torbido e nel trash, se si riesce, se ne può uscire illuminati, ed assistere a qualcosa che lascia tra lo stupefatto e lo sgomento, tra la risata isterica e il telecomando sbattuto a terra. L’immagine, lì, sul piccolo schermo, di persone contrite, addolorate, pronte a scoppiare in lacrime non per la scomparsa di qualcuno, ma per un rimbrotto di Carlo Cracco.