Tutti maschi, al Carcano, come ai tempi di Shakespeare. In una (sognata) “Bisbetica” di spericolata violenza psicologica

Tindaro Granata e Angelo Di Genio in “La bisbetica domata”. Regia di Andrea Chiodi. Produzione LuganoInScena. Al Teatro Carcano

LUGANO/MILANO ► (di Marisa Marzelli) Proprio mentre esplodono le denunce femminili contro molestie e vessazioni maschili e fa sentire forte la sua voce il movimento “Me too”, risulta forse un’idea spericolata portare in scena un testo come la Bisbetica domata. Insieme al Mercante di Venezia, questa è forse l’opera più ostica di Shakespeare da far digerire al pubblico d’oggi. Che rispetto ai cliché della moglie indocile e del mercante ebreo – in epoca elisabettiana da additare e punire come negativi – ha acquisito tutt’altra sensibilità.
Ci prova però la nuova produzione di LuganoInScena, in coproduzione con il LAC di Lugano e il Teatro Carcano. Lo spettacolo ha debuttato il 19 e 20 dicembre a Lugano e a quell’esordio si riferisce la seguente recensione.
Nell’adattamento e traduzione di Angela Demattè, il lavoro è diretto da Andrea Chiodi, regista varesino non ancora quarantenne, assistente di Carmelo Rifici alla direzione artistica del LAC.
Caratteristica da cui non si può prescindere è un cast di otto interpreti tutti maschi, impegnati in più ruoli. Se è vero che ai tempi di Shakespeare i cast erano normalmente solo al maschile, quindi dal punto di vista filologico non c’è molto da obiettare, è anche vero che nei recenti cartelloni abbiamo visto una Medea/Franco Branciaroli (nella ripresa di una storica regia di Luca Ronconi) e un Riccardo II/Maddalena Crippa (regia di Peter Stein), come a sottolineare (del resto basta ricordare Orlando di Virginia Woolf) che l’identità di genere si è fatta liquida.
Ma nell’allestimento di Chiodi e compagni c’è anche la “filosofia” portata avanti e sperimentata con convinzione dalla direzione artistica di Rifici al LAC, che ormai i classici non è il caso di rappresentarli sempre secondo i canoni della tradizione, vanno svecchiati e resi più vicini al sentire di un pubblico (soprattutto giovane) contemporaneo.
E questa Bisbetica fa suoi vari stilemi della scena più à la page. Come grande energia e vigore atletico richiesti agli interpreti; molto movimento; commistione di elementi di epoche diverse, inserite con effetto spiazzante (in questo caso, l’esplodere di intromissioni musicali incongrue per il contesto: da Perry Como ad Elvis Presley); focalizzazione sull’elemento visivo e sensoriale prima e più che su coerenza e compattezza nel riproporre il testo. Alla fine, risulta poco convincente – o non sufficientemente sottolineata – la tesi che la bisbetica Caterina appaia quietata ed addomesticata ma solo in virtù della manipolazione nell’uso delle parole.

Angelo Di Genio (Petruccio) in una scena di “La bisbetica domata”. Foto Masiar Pasquali

La trama è nota. Un padre ricco è intento a maritare due figlie. Bianca, la minore, dolce e sottomessa. Caterina, la maggiore, indipendente, dal carattere fiero che tiene alla larga i pretendenti. Finché non si fa avanti il giovane forestiero (e avventuriero, perché sembra più interessato alla dote che alla ragazza) Petruccio, il quale la trasforma in arrendevole, con sistemi che oggi non facciamo fatica a definire di violenza psicologica domestica. Triste conclusione.
Ma – ecco la lungimiranza drammaturgica di Shakespeare – il plot è inserito nella cornice di un ubriacone che immagina o sogna la vicenda, istigato da un signorotto-cacciatore che lo fa assistere ad una recita (classico espediente di teatro nel teatro) dell’episodio di Caterina e Petruccio. Il tutto è dunque sospeso in un’aura onirica. In quest’ambiguità lo spettacolo dà il suo meglio, assecondato dalle scenografie astratte ma suggestive (Matteo Patrucco), dagli eleganti costumi (Ilaria Ariemme), dalle musiche originali del ticinese Zeno Gabaglio, dalle luci che indulgono a toni turchesi.
A livello attoriale si ricompone la coppia di Geppetto e Geppetto (Premio Ubu 2016 come Nuovo progetto drammaturgico) composta da Tindaro Granata (Caterina) e Angelo Di Genio (Petruccio). Accanto a loro Christian La Rosa, Igor Horvat, Massimiliano Zampetti e i freschi di diploma Walter Rizzuto e Ugo Fiore (Scuola del Piccolo di Milano) e Rocco Schira (Scuola Dimitri di Verscio, Canton Ticino). L’affiatato gruppo sembra divertirsi molto in scena e suggerisce l’idea di una compagnia di ragazzotti uniti da qualche passione sportiva. Non a caso (anche se il dettaglio ha anche altra valenza, nel senso della competizione della vita) tutti portano sulla schiena un numero, come giocatori di calcio.
La regia di Chiodi (almeno al debutto) non per tutto lo spettacolo ingrana i ritmi giusti, ma quando ci riesce impone alla pièce un tono di fresca impertinenza. Senza strafare. È sì post-moderna, ma non ancora post-post, quindi quasi misurata.
“La bisbetica domata” di William Shakespeare – Adattamento e traduzione Angela Demattè – Regia Andrea Chiodi – Da mercoledì 7 a domenica 18 febbraio: al Teatro Carcano, corso di Porta Romana, 63 – 20122 Milano.

www.teatrocarcano.com

Personaggi e interpreti
(Ostessa, Paggio, Caterina) Tindaro Granata; (Smalizia, Petruccio) Angelo Di Genio; (Signore, Tranio, Giuseppe) Christian La Rosa; (Primo cacciatore, Gremio, Nicola, Vincenzo, sarto, vedova) Igor Horvat; (Bianca) Rocco Schira; (Battista, Grumio) Massimiliano Zampetti; (Secondo servo del Signore, Ortensio, Curtis, Pedante) Walter Rizzuto; (Primo servo del Signore, Lucenzio, Nataniele) Ugo Fiore.