Tutto è furore e violenza. Opera di barbarica potenza, anche musicale. E con una Elektra sguaiata, insolente. Sublime

Frank van Hove, Roberto Saccà, Ricarda Merbeth (foto Brescia/Amisano)

MILANO, lunedì 5 novembre (di Carla Maria Casanova) Non esiste opera più truce di “Elektra”. Né, in tutto il repertorio del melodramma, ruolo femminile più impervio di quella della protagonista (durante l’esecuzione, ho fatto mentalmente passare tutti i ruoli wagneriani, ma non ne ho trovato nessuno che gli stia alla pari, nemmeno Brunilde: Elektra canta forsennatamente per tutta l’opera: un’ora e 40 minuti).
Elettra è tornata in scena alla Scala, in ripresa dal 2014, regìa (fu la sua ultima) di Patrice Chéreau. Regia all’opposto della precedente di Ronconi (2005): tanto Ronconi era carnale, barbarico, realisticamente aggressivo, altrettanto Chéreau è asettico, scarno, esplosivo psicologicamente. Due facce altrettanto (forse) valide. L’una ti prende le budella, l’altra il cervello.
Il palcoscenico di Chéreau è grigio, immobile, dove il popolo della reggia, cioè lo stuolo di serve, vestite in approssimativi panni che potrebbero essere attuali, corre e si agita. È tutto un fronteggiarsi di trepide donne, consce che qualcosa succederà.
Primo a raccontare la storia di Elektra fu Sofocle. Nel 1903 Richard Strauss vide il dramma che Hofmannsthal aveva tratto dalla tragedia greca e capì subito che era nelle sue corde. Chiese al drammaturgo di trasportarlo in libretto. Iniziò così una collaborazione che durò fino alla morte di quest’ultimo (1929) e generò uno dei sodalizi più fecondi del teatro lirico.
Elektra, rappresentata a Dresda nel 1909, ebbe un successo “di stima”. Esito singolare: sarebbe stato più plausibile un fiasco. O un trionfo, come accadde nel 1910 a Londra e uguale esito, nello stesso anno, ebbe alla Scala. Altro Elektra non può generare, perché tutto, in quest’opera, è furore.
La storia è terrificante. In una Micene gravida di echi sinistri, Elektra medita di vendicare l’assassinio del padre Agamennone, avvenuto per opera della moglie Clitemnestra e del suo amante Egisto. Cerca complicità nella sorella Crisotemide, ma questa, giovane e bella, pensa solo a come fuggire da quella tetra reggia e trovarsi possibilmente un fidanzato. La notizia della morte di Oreste, il figlio allontanato da Clitemnestra, mette fine alle speranze di aiuto di Elektra. La giovane dissotterra quindi l’ascia: ucciderà da sola. Ma ecco Oreste, redivivo. Sarà lui a compiere il duplice assassinio. Elektra, perduta l’unica ragion d’essere – l’odio vendicatore – dopo una danza rituale demente, stramazza a terra priva di vita.
Anche Salome è percorsa dall’inizio alla fine da fremiti di orrore ma Elektra ne è il concentrato.
Strauss aggredisce la partitura con cupa violenza. L’organico orchestrale è imponente, 111 esecutori. Quasi sovrumani i requisiti vocali (quelli di Elektra senz’altro). Il clima tragico è restituito in tutta la sua autenticità: forza primordiale e parossismo espressionistico convergono con balenìi incandescenti. E agghiacciante quel sibilo sinistro – tipico di Strauss – che interviene come l’avvertimento di una catastrofe naturale, un terremoto o una valanga, per essere subito fagocitato dal cataclisma.
Christoph von Dohnanyi ha privilegiato gli ardori, la possanza dei blocchi sonori e della barbarica violenza musicale, in formidabile tensione sempre ben sostenuta dall’Orchestra della Scala.
Interpreti vocali eccellenti tutti di lingua tedesca, abituali frequentatori di Bayreuth, festival del quale Ricarda Merbeth (Elektra) è tra le più prestigiose protagoniste. Ha voce sbalorditiva, debordante temperamento e, ben lontana dalla ieratica presenza di una Salomea Krusceniski (prima interprete), impersona alla lettera quella con cui si autodefinisce nel libretto: sguaiata e insolente. Non ci siano malintesi: è sublime.
Anche la bionda prosperosa Regine Hangler (Crisotemide) fa sfoggio di una vocalità sicura e svettante. A lei Strauss accorda un inaspettato valzer, magari allegro se non celasse velenose ambiguità.
Fonte di maschia, robusta sicurezza è il vendicatore Oreste (Michael Volle), mentre Egisto trova in Roberto Saccà il giusto timbro, un po’ acidulo, dello spaccone che muore di paura.
E poi c’è la “diva”, la splendida Waltraud Meier, nei panni di Clitemnestra. Ma qui qualcosa si rompe nell’economia tempestosa della vicenda. Perché la Meier, in questo vivaio di scatenati, è una presenza elegantissima, con la sua brava collana da signora perbene. Nel drammatico scontro con Elektra non traspare né malvagità né terrore. Rimane composta e quasi assente. (Mi direte: ma è una regina! D’accordo, però non la regina Elisabetta). Il pubblico, si desume di spiccate britanniche tendenze monarchiche, ha applaudito con calore.
Ovazione per la Merbeth.

“ELEKTRA”. Libretto di Hugo von Hofmannsthal. Musica di Richard Strauss. Direttore Christoph von Dohnányi. Regia Patrice Chéreau (ripresa da Peter Mc Clintock). Repliche: 7, 10, 14, 18, 23, 29 novembre.

Personaggi e interpreti principali: Klytämnestra (Waltraud Meier); Elektra (Ricarda Merbeth); Chrysothemis (Regine Hangler); Aegisth (Roberto Saccà); Orest (Michael Volle).

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