(di Andrea Bisicchia) Nelle epoche nelle quali la creatività è in crisi, si affermano i surrogati che utilizzano forme apparentemente equivalenti, come: ri-creazione o invenzione. In entrambi i casi, però, si presuppone che esista, precedentemente, qualcosa sulla quale l’immaginazione artistica interviene nuovamente. La creazione dovrebbe avvenire dal nulla, Dio creò il mondo dal nulla, l’Essere fu creato dal nulla, l’opera d’arte originale nasce dal nulla.
I prodotti della creazione sono, pertanto, contraddistinti da una loro autenticità, quelli ri-creati sono dei semplici adattamenti, come avviene, per esempio, per tante opere narrative che vengono “riscoperte” per essere adattate al tempo presente. Accade, però, che l’adattamento finisca per modificare la creazione originaria, danneggiandone, in molti casi, l’autenticità, migliorandone, in pochi casi, la creatività, quando il medium utilizzato è quello del cinema che, spesso, ha dato versioni esemplari di romanzi in gran parte ottocenteschi.
George Steiner in “Grammatiche della creazione”, ristampato da Garzanti, ci permette di approfondire l’argomento ricordandoci che ogni espressione creativa debba seguire delle regole e, quindi, delle grammatiche. L’autore si chiede se possa esistere un mondo che non abbia un inizio, un esordio, un atto creativo, convinto che esistano delle epoche fondanti, durante le quali le grammatiche occupano un posto prevalente, mentre esistono epoche di crisi che rendono inoperante la creatività. Steiner chiarisce subito il suo concetto di grammatica, intendendo per essa: “l’organizzazione articolata della percezione, della riflessione e dell’esperienza“, come dire che le regole non hanno nulla di pre-edificato.
Egli distingue le creazioni mitiche da quelle teologiche e filosofiche, le creazioni poetiche da quelle scientifiche, asserendo che ogni tipologia creativa propone una sua grammatica essendo frutto delle narratologie che stanno dietro ai racconti mitologici e religiosi, ma anche dietro le forme artistiche, persino la filosofia è una narrazione ontologica.
Soltanto il divino è indissociabile dalla creatività originaria. L’artista crea raccontando, la sua immaginazione ricombina ciò che esiste già, la poesia, da Omero a Dante, ha creato persino i contenuti cosmologici sui quali, successivamente, è dovuta intervenire la scienza che, a suo modo, ha cercato di svelare il mistero della creatività.
Nel contempo, ogni creazione ha avuto bisogno di un suo particolare linguaggio per esprimersi, ovvero, di una grammatica appropriata. Steiner sottolinea la differenza tra creazione e invenzione, benché i loro campi semantici e concettuali finiscano, spesso, per sovrapporsi. È necessario, allora, capire dove si annidi la creatività autentica e dove esista un incipit per conoscerne il potere limitato o illimitato. Per esempio, il potere del drammaturgo, che dà vita ai suoi personaggi, è illimitato? Oppure i personaggi vantano un diritto nei confronti del loro creatore? come, del resto, avviene nei “Sei personaggi” e in “Anna Karenina”, i cui protagonisti si ribellano al loro autore.
In verità, le pulsioni creative sono incontrollabili, tanto che le formule: ” Arte per l’arte” o ” Creazione per la creazione” sono, a volte, incompatibili.
George Steiner, “Grammatiche della creazione – Una serrata indagine sul mistero della creatività, un’eloquente e drammatica diagnosi del nostro presente”. Ed. Garzanti 2003 – pp 318, € 19.70