Un allestimento “infernale” che sa parlare ai giovani. E Otello cade nelle spire mortali d’un istrionesco Jago (Corrado d’Elia)

otello d'eliaMILANO, domenica 8 novembre  ● 
(di Carmelo Pistillo) Poco più di quattrocento anni separano la prima rappresentazione (1604) dell’Otello, il Moro di Venezia, da quella realizzata da Corrado d’Elia, in scena in questi giorni al Teatro Litta di Milano.
Come in tutte le maggiori opere shakespeariane, lo smalto del testo, qui adattato, è rimasto intatto, così come la dialettica tra paradiso e inferno, bianco e nero, bene e male, i tre doppi binari sui cui corre il treno guidato dalla diabolica mente di Jago. Memorabile rimane ancora oggi la storica interpretazione di Salvo Randone, che nel 1956 si alternava con Vittorio Gassman sia nel ruolo del subdolo Alfiere che in quella del Moro. Così come non può essere trascurata quella più leggendaria di Tommaso Salvini, che, dopo aver familiarizzato per anni con la negritudine di Otello, e aver perso il giusto vigore richiesto da quel ruolo, nel lontano 1890 indossò pure i panni del perfido Jago.
Il nucleo della tragedia, ispirata a una novella scritta nel 1565 da G. B. Giraldi Cinthio, forse giunta a Shakespeare nel suo originale italiano, o nella versione francese, è noto.
Otello, militare al servizio della repubblica veneta, viene posto al comando dell’esercito veneziano contro i turchi nell’isola di Cipro, luogo dove si consumerà la sua tragedia familiare. Jago, segretamente innamorato di Desdemona e invidioso di Cassio, luogotenente leale del Moro, trama alle spalle di tutti. In seguito alle sue plateali insinuazioni Desdemona viene sospettata di avere una tresca con Cassio. Il Moro, posseduto dal demone della gelosia, la uccide. Seguono poi altri lutti come il suicidio di Otello, compiuto dopo aver scoperto con dolore l’innocenza di Desdemona, o la morte di Cassio e Roderigo, nonché quella di Emilia, moglie di Jago. Fine, quest’ultima, segnata dalla mano omicida del marito. Tuttavia, l’allestimento visto non supera la soglia del primo uxoricidio, come se la violazione del quinto e nono comandamento fosse già materia scottante per documentare la malvagità e i suoi indissolubili intrecci con la menzogna.
La scena dello spettacolo, un oscuro padiglione infernale occupato al centro da un trono sagomato come una lama e delle vasche colme d’acqua con la funzione di lavacri che non scrostano, però, né colpe né peccati, è abitata dagli intrighi orditi da Jago, un Corrado d’Elia a suo agio dietro una maschera istrionesca e vile, tanto miserabile quanto spregiudicata nelle sue sporche macchinazioni. Dall’altro lato, Alessandro Castellucci, ci consegna un Otello senza tracotanza e non convenzionale, diviso tra l’ira del capo e la legittima rabbia dell’uomo tradito che compie, prima di suicidarsi, la sola vendetta che vede. Chiara Salvucci è una Desdemona innamorata e fiera, la cui innocenza gridata al mondo non basta ad evitarle la triste fine che l’aspetta. Bene Gianni Quillico, che mette in luce tutta la sua esperienza nella parte di Brabanzio, padre di Desdemona, o la misura, a parte la vocalmente acerba Anna Mazza, degli altri attori: Giulia Bacchetta, Giovanni Carretti, Marco Brambilla e Marco Rodio.
La migliore qualità di questa edizione dell’Otello, direi attuale, mi pare risiedere nella capacità del regista di saper parlare ai giovani e di intercettarne gli umori senza l’aura del predicatore. Giovani, e qui va detto, che poco o nulla sanno del bardo inglese e degli interpreti del suo teatro.
Prevale una dimensione di “gioco”, soprattutto grazie alle cialtronerie criminali di Jago, qui recitate con l’irresponsabile leggerezza tipica di chi non vuole prendere coscienza delle colpe di cui si sta macchiando. La cronaca nera, politica e finanziaria, quasi ogni giorno ci consegna il ritratto di canaglie con queste deformità morali, sorprese nel reiterare delitti spesso impuniti. In Shakespeare no, perché lì, prima o poi, tutto si paga.
Forse era questo – chissà! – lo spirito che aleggiava presso la corte la sera del 1° novembre 1604, quando la tragedia venne messa in scena per allietare cortigiani e dame, sgravandoli per qualche ora delle loro ipocrisie e responsabilità.

OTELLO, di William Shakespeare, con Corrado d’Elia, Alessandro Castellucci, Chiara Salvucci, Gianni Quillico, Giulia Bacchetta, Marco Brambilla, Giovanni Carretti, Anna Mazza e Marco Rodio, regia e adattamento di Corrado d’Elia – Teatro Litta, Corso Magenta 24, Milano – Repliche fino a domenica 15 novembre.