Un bambino si aggirava tra i pupi di don Ernesto. E il suo destino fu segnato per tutta la vita. Tenerezza d’un ricordo

(di Andrea Bisicchia) Il Teatro dell’Opera dei Pupi vive di alti e bassi, vanta, cioè, delle stagioni particolari che ne storicizzano i risultati raggiunti nel tempo,oppure si assoggettano a dei cambiamenti che fanno convivere la tradizione con la necessità di cambiamento, come è accaduto con Mimmo Cuticchio, che ha utilizzao “u cuntu” e i pupi a scena aperta. Ricordo uno dei primi lavori di Carmelo Alberti: “Il teatro dei pupi e lo spettacolo popolare siciliano”, Mursia 1977, di carattere storiografico, con relativi documenti, a cui seguì un lungo silenzio, interrotto dalla pubblicazione di “Pupi e Attori,ovvero l’opera dei pupi a Catania”, Bulzoni 2008, di Bernadette Mayorana, che tracciò la vicenda di tre note famiglie di pupari: i Grasso, i Napoli, i Crimi, con una fitta rete di testimonianze e di documenti.
Generalmente gli storici che trattano simili argomenti si riferiscono a due scuole: quella catanese e quella palermitana. Giovanna Marino, che alterna ricerche etnografiche, vedi “Il tempo della memoria. Credenze popolari siciliane”, con ricerche storico-antropologiche, ha ricostruito la storia di altre famiglie che operavano e operano nel siracusano, nel volume: “L’Opera dei Pupi a Siracusa”. Il nucleo più ricco è quello della famiglia Puzzo da Francesco (Don Ciccio), il fondatore, ai figli Luciano, Giuseppe e Salvatore, i cui teatri avevano sede a Siracusa.
Personalmente, da bambino, ho vissuto l’ultima stagione dei Puzzo, quando il teatro fu rilevato da mio nonno Andrea Bisicchia, in collaborazione con Pulvirenti. Mi aggiravo tra i pupi di don Ernesto , con curiosità e meraviglia, erano più alti di quelli catanesi, essendo un metro e mezzo. Di sera partecipavo alle diatribe che si accendevano in sala, tra i sostenitori dei paladini che rappresentavano la giustizia e quelli che parteggiavano per i musulmani. Non dobbiamo dimenticare che, tra i vari dominatori, Siracusa visse la stagione della dominazione araba. La mia esperienza non finì con la fanciullezza, perché continuò a Milano, dove mi ero trasferito per studiare all’Università Cattolica e dove feci amicizia con i fratelli Pasqualino, studiosi dell’Opera dei Pupi, e con Antonio Lampugnana, nato nel 1913, come i miei genitori, e morto a Milano nel 1987. Con loro organizzai un grande mostra, a cui seguirono delle lezioni sull’Opera che ebbero un successo insperato.
Leggendo il libro di Giovanna Marino, non ho potuto evitare questi ricordi che porto nel mio DNA e che forse sono stati all’origine del mio amore per il teatro, diventato una vera professione. L’autrice ricostruisce la storia dell’Opera dei Pupi a Siracusa, non si limita a quella dei Puzzo, ma arriva  a quella dei giorni nostri, dedicando un capitolo ai Vaccaro, che in un loro teatrino a Ortigia, continuano la tradizione dei Puzzo, rinnovandola. Non dimentica l’apporto di Vincenzo Mangiagli, Giuseppe Mavilla,Umberto Li Gioi ad Avola e quello di Ignazio Puglisi a Sortino, tutti insieme hanno contribuito alla rinascita di un teatro che ha le sue radici nella tradizione popolare che Pirandello intellettualizzò nel” Berretto a sonagli”( 1916) con il noto monologo “ Pupi siamo…”, dove sosteneva che ogni uomo porta il suo pupo addosso, così come ogni pupo ha una sua parte nel teatro dei pupi.
Già nel “Fu Mattia Pascal” (1904), Pirandello aveva fatto riferimento al teatro delle Marionette nel famoso “Lo strappo nel cielo di carta”. Il fatto che Siracusa vanti un antica tradizione lo si può dedurre da un passo del “Convivio” di Senofonte, dove viene raccontato di un marionettista siracusano che ragionasse con Socrate sulla rappresentazione dei pupi.
Lo ricordano sia Anton Giulio Bragaglia in suo breve saggio sull’Opera dei Pupi (il Dramma, Anno 38, N.195-196, 1 gennaio 1954), sia Giovanna Marino nel suo libro.

Giovanna Marino: “L’Opera dei Pupi”, Edizioni Terzopiano.