(di Andrea Bisicchia) In attesa del settecentesimo anniversario della morte di Dante (1321-2021), i preparativi per una celebrazione in grande si lasciano intrappolare dagli effetti mediatici, senza badare a possibili esemplificazioni, se non banalizzazioni della Commedia, perché, a differenza delle altre opere, questa si presta a essere letta, drammatizzata, rappresentata, tanto che molti sono stati gli attori a utilizzarla, da Albertazzi a Benigni.
C’è chi, per l’occasione, ha proposto il “Dantedì” (termine coniato dal linguista Francesco Sabatini), ovvero una giornata fissa, tipo il 25 Aprile o il Primo Maggio, per festeggiare il poeta, non solo nelle Accademie, ma anche nelle piazze, nei cinema, nei ristoranti, nelle viuzze, utilizzando la teatralità diffusa, tipica del teatro medioevale.
Quest’ultima è stata utilizzata, con competenza, da Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, per il Teatro delle Albe che, per le strade di Ravenna, hanno dato una loro versione dell’Inferno e del Puragatorio, in attesa del Paradiso programmato per il 2021. Anche, in Sicilia, presso le Gole dell’Alcantera, Giovanni Anfuso ha messo in scena una sua versione dell’Inferno, tra l’acqua del fiume e gli anfratti delle rocce. Insomma, un Dante per tutti i gusti e per tutte le stagioni.
C’è chi ha scelto un’altra maniera di accostarsi alla Commedia, per cercarvi la forza del pensiero, ovvero l’aspetto filosofico dell’Opera. A farlo è stato Franco Ricordi che, in “Filosofia della Commedia di Dante” (Mimesis Edizioni), ha indirizzato il suo lavoro verso un’analisi più approfondita del poema, sulla scia di studiosi come Petrocchi, Nardi, Gilson e Jan Kott, di cui, parafrasando il suo “Shakespeare nostro contemporaneo”, propone un “Dante nostro contemporaneo”.
Ricordi conosce bene le “Letture Dantis” di Le Monnier, riconosce il lavoro fatto da Sermonti sul verso di Dante, durante le sue famose letture, egli però intende andare oltre, definendo la Commedia una “tragedia cristiana” che si apre ad altre religioni (da qui la sua contemporaneità), come, del resto, aveva scritto Mario Apollonio nella sua straordinaria e irripetibile lettura delle tre Cantiche. Franco Ricordi ne sostiene, soprattutto, la dimensione teatrale, rifacendosi alla teodrammatica, sulla scia di Von Balthasar, andando in cerca di una “partitura nascosta” e di una “metronomia” che, analogamente al dettato del metronomo, antepone la partitura, che da esso deriva, alla creazione stessa. Per Ricordi, inoltre, è necessaria una revisione ontologica di quello che definisce Endecasillabo e terzina dantesca, utilizzandoli per comprendere l’essenza musicale dei Canti, con l’ausilio di quattro figure metriche: la Sinalefe, la Dialefe, la Dieresi, la Sineresi. Costruita questa “partitura”, Ricordi analizza i XXXIV Canti dell’Inferno, ponendo, a base della sua lettura, dei sottotitoli, tipo “Paura e angoscia fra Medioevo, esistenzialismo, allegoria, storia” per quanto riguarda il Canto primo, oppure “Massa e potere” per il terzo o, ancora, “Il razionalismo di Dante da Aristotele a Mondrian” per l’undicesimo, o “Da Omero a Jaspers, la metafisica nella cifra” per il ventiseiesimo.
Non manca il sottotitolo che riguarda la scenotecnica, nel Canto XXXI o il riferimento all’etica kantiana nel XXXIV.
Il lettore, da simili indicazioni, può capire come l’intento di Ricordi spazi tra esigenze drammaturgiche e quelle filosofiche, tanto da essere subordinato a una simile scelta, in modo tale da non sentire il bisogno di indicare una bibliografia accademica per la sua idea interpretativa.
Il volume è dedicato a Martin Heidegger, forse sarebbe stato più giusto dedicarlo a Emanuele Severino, visto che, più volte, utilizza termini come “Gioia” o come “Logos” o “unità del Tutto, oggetto della speculazione filosofica di Severino.
Franco Ricordi,” Filosofia della Commedia di Dante, Inferno” – Ed. Mimesis 2019, pp 490, € 28.