MILANO, mercoledì 4 aprile ►(di Andrea Bisicchia) Ciò che colpisce, in questo “Don Pasquale” che ha debuttato felicemente alla Scala, diretto da Chailly, con la regia di Livermore, è la coerenza stilistica nell’armonico rapporto musica-regia, oltre che la logica scenica, concepita come conseguenza di ciò che si intende rappresentare.
Livermore si è chiesto il motivo per cui don Pasquale da Corneto abbia deciso di ammogliarsi a settant’anni, e la risposta l’ha trovata nel rapporto edipico con la madre, tanto che, durante l’ouverture, lo spettatore assiste, non solo al funerale della mamma, con Chailly che si inventa una musicalità più drammatica, ma anche al momento in cui don Pasquale, rivedendo il suo passato, con gli amori giovanili, sempre interrotti dall’intervento autoritario della madre, cerca di liberarsi dal trauma che ha vissuto per tanto tempo.
Scelta questa via, più umoristica che farsesca, Livermore fa della madre una protagonista occulta, visto che la vedremo sempre in scena per assistere, con ghigno, alla burla che il dottor Malatesta sta preparando al figlio, col consenso di Norina, fino alla separazione finale che la vede scimmiottare felice, come dire: ho vinto ancora io.
L’invenzione più originale della regia consiste nell’aver trasferito l’azione dalla casa borghese di don Pasquale, agli studi cinematografici di Cinecittà dove si consumano i tre atti del gioiello donizettiano, il cui don Pasquale, come ben sa il maestro Chailly, sembra anticipare il Falstaff di Verdi, mentre il dottor Malatesta somiglia molto al Figaro mozartiano, e Norina ha qualcosa di Rosina, quella di “una vipera sarò”, dato che anch’essa lo diventerà, dopo il finto matrimonio con don Pasquale.
Livermore non è un regista che proviene dalla prosa, la sua formazione è tutta musicale, eppure ha capito che le partiture siano da rinnovare con coraggio se le si vogliono liberare dalla polvere che si è accumulata per tanti anni. A dire il vero, ci hanno già pensato Martone, Micheletto, Emma Dante, solo per citare i più discussi, Livermore fa sentire la sua presenza in questo processo di rinnovamento. Per farlo ha avuto il bisogno dell’apporto determinante di Chailly, che ha virato la musicalità di Donizetti verso gli interessi registici, di Giò Forma per le scene, di Gianluca Falaschi per i costumi (ben 130), di Nicolas Bovey per le luci e del video design D-Work per le proiezioni dei monumenti della Capitale, durante gli anni Cinquanta-Sessanta. Tutti hanno contribuito alla trasposizione del racconto scenico negli studi di Cinecittà, tra scene parapettate, col girevole che trasferisce il dentro nel fuori e viceversa, con la stazione Termini, dove Ernesto può intonare “Cercherò lontana terra”, con tante comparse che sfilano come modelle, osservate da finti centurioni, tra un set e un altro, in quel luogo immaginifico, dove Fellini realizzava i suoi sogni e dove Risi faceva correre l’Aureila del “Sorpasso” che vediamo in scena innalzarsi con Norina al volante.
Le citazioni del regista sono sempre coerenti con la sua idea di messinscena.
Dicevo che il don Pasquale è antesignano del Falstaff, benché il rapporto con la burla sia alquanto diverso, tanto che mi è venuto in mente un passo del “Galateo” di Giovanni della Casa in cui si legge: “E sappi che niuna differenza è da schernire a beffare, se non fosse che il proponimento e la invenzione che l’uno ha diversa dall’altro, conciosiacosaché le beffe si fanno per sollazzo e gli scherni per strazio” (Cap. 19). Falstaff ne esce straziato, don Pasquale alterna la beffa alla gioia.
Scelta la via della Commedia all’italiana del Secondo dopoguerra, Livermore ha dato alla compagnia di canto, formata da Ambrogio Maestri, Rosa Feola, René Barbera, Mattia Olivieri, Andrea Porta, lo spazio per i loro virtuosismi vocali, ma anche per i movimenti scenici, tanto che, a volte, sembrava una compagnia di “complesso” del teatro di prosa.
Il risultato è stato eccezionale, confesso di avere assistito al più bel “Don Pasquale”. Pubblico soddisfatto e osannante, con qualche applauso in più per il protagonista.
“Don Pasquale”, di Gaetano Donizetti. Direttore Riccardo Chailly. Regia Davide Livermore – Repliche: venerdì 6 aprile, mercoledì 11, sabato 14, martedì 17, giovedì 19, martedì 24, sabato 28, venerdì 4 maggio. Teatro alla Scala.
Infotel 02 72 00 37 44 – www.teatroallascala.org
Giovedì 19 aprile l’opera sarà trasmessa in diretta televisiva da RAI 5