(di Patrizia Pedrazzini) Nicolas Vanier, cinquantasettenne regista e scrittore francese, è, prima di tutto, un uomo profondamente innamorato della natura, degli animali e, inevitabilmente, dell’avventura. Nel 2004, con il film “Il Grande Nord”, aveva raccontato la vita dei cacciatori di pelli dello Yukon, in Canada, minacciati dall’avanzata delle compagnie del legname. Poi, nove anni dopo, è arrivato “Belle & Sebastien”, sull’amicizia fra un bambino orfano e un cane da montagna dei Pirenei. Ora è la volta di “Sulle ali dell’avventura”, tratto da un romanzo dello stesso Vanier, a sua volta ispirato a una storia vera.
La vicenda è quella di Thomas, quindicenne di città che vive incollato al cellulare e ai videogiochi. Finché un giorno, esasperata, la madre decide di spedirlo per tre settimane in Camargue dal padre, dal quale è separata. L’uomo, Christian, appassionato ornitologo, folle, poetico, utopista e sognatore, sta cercando di realizzare un progetto al limite della legalità: “insegnare” a un primo gruppo di oche selvatiche, altrimenti destinate al’estinzione, una rotta migratoria alternativa che i volatili possano percorrere, dal sud della Francia alla Norvegia (e viceversa), senza finire nella morsa letale dei cavi elettrici, dell’urbanizzazione selvaggia, della carenza di cibo. Il tutto grazie a un aeromobile ultraleggero, guidato dallo stesso Christian, che lo stormo dovrà seguire, memorizzando così il nuovo percorso. Senza wi-fi, nel silenzio assordante del delta del Rodano, Thomas all’inizio vive la nuova realtà come un incubo. Ma quando le uova iniziano a schiudersi e la prima oca fa capolino dal guscio…
Giocato sull’intreccio tra due filoni, da un lato quello della bellezza e, insieme, dei bisogni di una natura sempre più a rischio, dall’altro quello del difficile, spesso arduo, rapporto fra un padre e un figlio adolescente, il film indica chiaramente nel rispetto e nell’amore per la prima, unitamente allo spirito d’avventura che ne deriva, la solida base per lo sviluppo e il recupero del secondo, inteso come rivalutazione e presa di coscienza dei sentimenti primari e, quindi, vitali.
Oltre a questo, il lavoro di Vanier vanta due indiscutibili punti forza: le riprese aeree del volo migratorio degli uccelli (compreso quello nella tempesta sopra il mare de Nord, quando il piccolo velivolo rischia di avere la peggio) e le bellissime inquadrature dal cielo dei paesaggi che lo stormo sorvola: laghi, fiumi, scogliere, campagne, villaggi.
Un film sereno e rasserenante, pulito, che parla di ideali, di coraggio, di ribellione e di buoni sentimenti. Particolarmente attuale, tra l’altro, in tempi di istanze ecologistiche e di paure, soprattutto da parte dei giovani, che non siano solo le oche selvatiche a dover mettere in conto, se il mondo non cambia rotta, il rischio dell’estinzione.
Un figlio, un padre, uno stormo di oche. Perché niente più della natura (e dell’avventura) ricuce rapporti e sentimenti
8 Gennaio 2020 by