VILLA SAN GIOVANNI (Reggio Calabria), lunedì 15 luglio ► (di Piero Lotito) Se nella vicina Reggio Calabria hanno chiuso lo storico Teatro Siracusa, il più antico della città (1922), dove hanno recitato Memo Benassi e Angelo Musco, Ruggero Ruggeri, Macario, Wanda Osiris, e se oggi nella gloriosa sala si vendono capi d’abbigliamento, appesi a file di grucce disseminate in platea e in galleria tra le sopravvissute poltroncine, se tutto questo nel capoluogo è purtroppo una realtà, volete che funzioni un palcoscenico a Villa San Giovanni, il piccolo e affollato centro di sbarco-imbarco tra Sicilia e continente, dove, nonostante il brulicante movimento, non esiste nemmeno un pronto soccorso?
Eppure…
Eppure, a Villa San Giovanni, nell’uniforme agglomerato di case che si estende parallelo alla riva dello Stretto, lungo la statale 738, un palcoscenico esiste, è vivo e propone un cartellone sempre vario, moderno. E le sue 64 poltrone di velluto rosso sono quasi sempre tutte occupate.
È il Teatro Primo, sorto a Villa nel 2013 in un garage di via delle Filande, a due passi dal Municipio. L’inaspettato nasce il più delle volte dai giovani. Anche qui furono due giovani, Silvana Luppino, diplomata all’Accademia d’arte drammatica della Calabria (Palmi), e il regista Christian Maria Parisi, a mettere nel 2008 a disposizione dei coetanei calabresi la loro passione per il teatro, organizzando corsi di recitazione in giro per la provincia e infine provando a mettere in scena, in un capannone della stessa Reggio, un testo del drammaturgo catanese Enzo Consoli. Un successo.
Poi, Silvana e Christian presero la decisione di trasferirsi a Villa San Giovanni, e s’imbatterono nel polveroso garage. Vi sarebbe uscito un teatro? Chiesero un parere allo scenografo di buona fama Aldo Zucco (lavora anche per il teatro lirico e la televisione), il quale squadrò il disarticolato spazio posto ad angolo al piano terra di un condominio e, dopo aver riconosciuto ai due “sognatori” una buona dose di follia, emise il suo giudizio: quel posto era un buco, ma un teatro poteva venirne fuori, ci avrebbe pensato lui. Oggi, la minuscola sala ospita laboratori di dizione e recitazione, saggi e stage di danza, concerti, rassegne cinematografiche. Una breccia è aperta nella difficile realtà villese e oltre, anche nella sponda siciliana.
Un’impresa coraggiosa, si sa, spesso incrocia altre scommesse, altre sorprese.
A Villa San Giovanni, questo luogo così prossimo al fatale gioco di specchi tra Scilla e Cariddi, e che deve veramente possedere una misteriosa forza di attrazione, è venuto a vivere da qualche tempo anche un attore francese, Dimi de Delphes, allievo in madrepatria di Robert Hossein, il famoso Joffrey de Peyrac nel ciclo di Angelica e interprete di innumerevoli altre pellicole. Nato a Laon, cittadina del nord della Francia, attratto ben presto dalla lingua e dalla cultura italiana, Dimi venne nel 1973 nel nostro Paese, completando la sua formazione artistica alla Scuola d’arte drammatica del Piccolo Teatro e lavorando anche con Carmelo Bene e Paola Borboni. Rientrato nel 1988 in Francia, a Grasse, sulla Costa Azzurra, fondò l’Ecole de Théâtre “Gérard Philipe” e la Compagnie du Nouveau Regard. Non ritrovandosi nei panni del sedentario, Dimi de Delphes, preso da furore di esplorazione come in un anelito “missionario”, cominciò poi a girare per il mondo, dal Perù all’India e all’Africa, qui impegnandosi contro la mutilazione sessuale e i matrimoni di bambine, e sempre, intanto, pensando al teatro.
Tornato in Italia nel 2018, ha trovato nella Calabria il suo luogo di elezione: insegna alla Scuola di recitazione di Cittanova, recita, legge, sceneggia, scrive poesie. Un vulcano. Non sarà per questo che ha scelto di vivere a Villa San Giovanni, guardando ora l’Etna ora Stromboli? E poteva non collaborare con i due pionieri del Teatro Primo? Nell’ex garage realizza regie, letture, conduce workshop legati a tecniche di rilassamento e recitazione. «Prestò affitterò la mia casa in Francia – dice con la sua bella voce appena venata di timbro francese -, la scelta è ormai fatta: vivere per il teatro in Italia, sullo Stretto, di fronte alla Sicilia e con i piedi piantati in Calabria». Poi dicono che il teatro rischia di morire.