MILANO, mercoledì 16 dicembre ► (di Paolo A. Paganini) Nel giugno scorso scrivemmo della goldoniana “Bottega del caffè”, vista al Piccolo Teatro Grassi, regia di Scaparro, con la memorabile interpretazione di Pino Micol, nel ruolo del pettegolo, maldicente Don Marzio, incapace di tener la lingua in bocca, a costo d’inventarsi quello che non è, e di vedere quello che non c’è.
Allora rilevavamo quanto amaro ci fosse in fondo a quella tazzina di caffè.
Il riferimento ci serve ora per rimarcare quanto siano ancor più tossici i veleni che trasudano da quella tazzina, al Teatro Leonardo, nell’allestimento di Quelli di Grock in consorzio con il Teatro Litta.
È un ilare e gioioso allestimento a suon di musiche, canzoncine e filastrocche, nell’allegria d’un quasi musical tra Vomero e Laguna, con un po’ d’Arno e una spruzzata di approssimazioni linguistico-migratorie, nell’ambientazione di una Las Vegas in disfacimento. Ma c’è solo la maschera dell’allegria. Non facciamoci cogliere dalle apparenze. La patina della felicità è tutta superficiale, leggera ed evanescente, giovanile, sventata. Ma, si sa, i saggi dicono che poi ci penserà la vita a metter sale in zucca agli scapestrati. E invece si sa che non è vero. La vita insegnerà solo a nasconderci meglio.
Sembra essere questa la tesi di questa nuova “Bottega del caffè”, tanto che ti mette addosso, quando esci dopo un’ora e cinquanta senza intervallo, un indefinibile senso di malessere sotto lo stordimento dell’allegria. Certo, il vetriolo era anche nella penna così lieve (e malvagia) di Carlo Goldoni, ma alla fine lui redimeva la propria maligna tossicità in un salvifico finale: lo sprovveduto giocatore Eugenio bamba e merlo rinsaviva tra le braccia amorevoli e caritatevoli della moglie, Pandolfo, il biscazziere baro e disonesto, finiva in prigione, il falso conte Leandro, spregiudicato spillature di gonzi, veniva smascherato dalla moglie, Don Marzio fonte inesauribile di calunnie e maldicenze, alla fine era ignominiosamente sputtanato e scacciato. Questo rimarcammo allora, dopo che Carlo Goldoni salvava infine l’onore di Venezia con un posticcio ed edulcorato moralismo.
Ora non più. Valeria Cavalli e Claudio Intropido, due veterani di Quelli di Grock, non solo hanno firmato la regia (interessanti musiche e canzoni di Gipo Gurrado con vaghezze brechtiane), ma hanno anche operato un’abile ma speciosa riduzione goldoniana, extrapolando dal testo dell’Avvocato veneziano solo ed esclusivamente il nocciolo relativo al vizio del gioco d’azzardo. Ne vien fuori un inferno nel quale si dannano vecchi e ragazzi, tra dadi carte e roulette (in traslato possiamo oggi aggiungere macchinette mangiasoldi e poker tv) che fan dimenticare prudenza, buonsenso,onore.
Oltre alle forbici, e aggiungendo anche del loro, il duo Cavalli-Intropido hanno messo mano al sacro testo del 1750 con spregiudicata abilità. Un’operazione che non ci è affatto dispiaciuta, anche se, qua e là, i tempi andrebbero ancora più stretti e nonostante l’ormai stucchevole invasione degli attori in platea. Ma l’apoteosi del vizio, la maldicenza elevata a virtù e simpatia, la falsità come prassi ad usum di teste bislacche ingenue e scriteriate, l’allegro finale del trionfo del male dove tutto ricomincia come se niente fosse (ben sapendo, ahinoi, che così va il mondo. Fate i buoni, dice un dolce tv. È Natale. Facciamo finta di crederci) è la pessimistica morale di questo audace allestimento, coraggioso senza essere sentenzioso, che sa nascondere sfiducia e pessimismo sotto la ridanciana maschera dell’allegria. Il pubblico ha preferito non togliere quella maschera. E s’è divertito da matti.
Applausi gaudiosi per tutti alla fine, in particolare per Gaetano Callegaro, luciferino incantatore come padrone della bisca. Ma bene anche tutti gli altri: Pietro De Pascalis, Jacopo Fracasso, Cristina Liparoto, Andrea Robbiano, Roberta Rovelli, Simone Severgnini, Daniele Turconi, Debora Virello (ma quando capiranno teatri e compagnie che, per rispetto professionale e dovere morale, oltre ai nomi bisognerebbe indicare anche i ruoli in locandine e comunicati stampa?).
Si replica fino a venerdì 1 gennaio.
“La bottega del caffè”, da Carlo Goldoni. Produzione Manifatture Teatrali Milanesi. Quelli di Grock e Teatro Litta – Al Teatro Leonardo, Via Ampere 1 (ang. Piazza Leonardo da Vinci), Milano