Un grande Weber per un’efferata e tetra leggenda nordica. Stupendi costumi magiari. Ovazione per direzione e cantanti

MILANO, mercoledì 11 ottobre (di Carla Maria Casanova) Der Freischütz (che non è L’amico Fritz ma Il Franco Cacciatore) di Carl Maria von Weber, è opera di rara frequentazione scaligera: è apparsa in cartellone tre volte: 1927, 1955, 1998. Pare che la storia (una leggenda delle più tetre e rocambolesche) avesse tanto suscitato l’entusiasmo di Weber alla prima lettura, da determinarlo a comporne un’opera. Quando poi incontrò tale Friedrich Kind, un letterato disposto a scrivere il libretto, passò alle vie di fatto. Il libretto (dal titolo provvisorio “La fidanzata del cacciatore”) è men che mediocre, la leggenda rimane improponibile, ma la musica, quella è da sentire. Una bella operona romantica, anche se il molto parlato l’avvicina al singspiel, con tanto di leitmotiv secondo il concetto wagneriano.
Tutti questi tasselli messi insieme fanno di Der Freischütz addirittura il modello dell’opera tradizionale tedesca (in contrapposizione a quella italiana). Ai contemporanei, senz’altro ai tedeschi, piacque immensamente e si noti che è stata diretta dai più grandi, che hanno lasciato memorabili incisioni, da Furtwängler ai Kleiber (padre e figlio) Jochum, Böhm, Kubelkik…
Il leitmotiv, rimasto nel repertorio internazionale, ha reso popolare l’ouverture (spesso eseguita). È un motivo allegro, con ritmo da ballabile. Ci sono due bellissime arie (soprano e tenore) e notevoli momenti del coro. La storia, appartenente alle leggende nordiche più efferate, si svolge au noir, con sinistri presentimenti fin dall’inizio.
Fulcro dell’azione è la Gola del Lupo (già tutto un programma) dove il cacciatore Max, per vincere la gara di tiro che gli permetterà di impalmare l’amata Agathe, va a fondere sette pallottole dai poteri satanici. L’ultima (pallottola) rimane in possesso del diavolo, che la userà come meglio crede. Chiaro che la usa deviando il tiro contro la sposa. Fine. Per niente. Avviene il colpo di scena: la sposa non è morta, muore per trapasso Kaspar, il cattivo amico di Max, che aveva venduto l’anima al diavolo, e sorge un inatteso Eremita che assolve tutti decidendo però che la coppia dovrà aspettare un anno (vedi don Giovanni) per coronare il suo sogno d’amore.
Il regista Mattias Hartmann ha risolto il lieto fine facendo impugnare ai due fidanzati un fucile (uno per ciascuno) brandendo il quale fuggono per ignota destinazione. Rispetteranno l’anno sabatico? Sorgono dubbi (magari la consolazione di una convivenza…). Per il resto, la regìa è tradizionale, su un impianto scenico (di Raymund Orfeo Voigt) essenziale. In pratica, una nera foresta di alberi dal tronco bruciato. Gli altri elementi sono disegnati da tubi al neon, che nell’oscurità spiccano accecanti e fastidiosissimi (vedi  la casetta del primo atto). Sullo sfondo, sempre al neon, è tratteggiato il profilo del diavolo.
Su tutte queste tenebre spiccano primaverili stupefacenti costumi. Sono state scelte fogge del folclore popolare magiaro (la storia ha luogo in Boemia) rivisitate dalla mano di Susanne Bisovski, stilista di fama. Voluttuosi, raffinatissimi abiti ed elaborate acconciature floreali. Quando le signore del coro della Scala hanno indossato in sala prove i loro costumi hanno dichiarato di trovarsi più pronte per una sfilata di moda che per il palcoscenico.
Il cast (l’opera è cantata in tedesco) è interamente straniero, fuorché il Coro, stupendo, diretto come sempre da Bruno Casoni. Protagonisti Michael Konig (Max), heldtenor dalla mole wagneriana ma con morbide intonazioni, e Julia Kleiter (Agathe), fluida e luminosa nella grande aria accompagnata dal solo violoncello. La petulante Ännchen, forte di una vivace controscena, è interpretata con brio da Eva Liebau. Profonda, possente la voce dell’Eremita di Stephen Milling. Ha suscitato entusiasmo la forza convincente del cattivo Kaspar (Günther Groissböck). Ed ha generato ovazione – applausi vivissimi fin dal suo apparire sul podio- Myung-Whun Chung, che ha equilibrato la narrazione orchestrale tra sospensioni mistiche e incalzante passionalità, gioiosi ballabili ed estrema ricchezza di contrasti. Gran bella direzione.
L’opera è data in due atti (durata complessiva due ore e 40 minuti).

Teatro alla Scala- “Der Freischütz”, di Carl Maria von Weber. Repliche 13,17, 20, 23, 26, 30 ottobre, 2 novembre.
www.teatroallascala.org