(di Marisa Marzelli) A 77 anni, carico della gloria di film leggendari come Blade Runner, Alien, Thelma & Louise, Il Gladiatore, Ridley Scott ancora stupisce e s’inventa un sottogenere nuovo: la fantascienza che flirta con la commedia. È anche vero che diversi suoi film recenti, da The Counselor a Prometheus ed Exodus – Dei e Re, grondanti dramma e tormenti, hanno fatto flop. Perciò, da inglese dotato di senso dell’umorismo, deve aver pensato di dare al pubblico generalista i circenses che desidera. Non si è sicuri che Sopravvissuto – The Martian sia una presa in giro di ineffabile leggerezza, ma potrebbe essere. In ogni caso, un film confezionato con grande scaltrezza.
Ridley Scott abbandona la fantascienza distopica, il fosco futuro di mondi tragici per rassicurare su come, sebbene rimasto solo su Marte, un uomo tenace di buon senso (per antonomasia, un buon americano medio) possa cavarsela e, in un certo senso, addomesticare il Pianeta Rosso. Quasi come conquistare una Nuova Frontiera (non quella kennediana ma quella del West in un posto che non è più il West). Aggiungiamo che nel film c’è la supervisione della NASA, procuratasi un formidabile spot promozionale in attesa dei nuovi finanziamenti per il previsto rilancio dei voli spaziali. Non a caso proprio in questi giorni si è dato ampio risalto alla notizia (peraltro già nota agli specialisti) dei “ruscelli” d’acqua salata scoperti sul pianeta.
Tratto dall’e-book L’uomo di Marte di Andy Weir, il film è ambientato in un futuro non troppo lontano. Su Marte è atterrato il terzo veicolo spaziale statunitense con equipaggio. Ma, a causa di una terribile tempesta di sabbia, la missione riparte in tutta fretta, lasciando sul terreno un membro dell’equipaggio ritenuto morto. L’astronauta – interpretato da Matt Damon, la scelta migliore in quanto è il divo dell’età giusta più positivo, ottimista e rassicurante dello star system USA, anche se si potrebbe fare della facile ironia sul soldato Ryan da salvare di nuovo – morto non è, e quando si riprende capisce che deve ingegnarsi per resistere finché arriveranno i soccorsi. Ma non è facile, le provviste sono scarse e non lui riesce a mettersi in contatto con la Terra. Il buon Damon è però un botanico, rende fertile il terreno inospitale e comincia a piantare patate. Ma questo è solo uno degli scenari del film, perché buona parte del racconto coinvolge la NASA, dove scienziati e burocrati, resisi conto che l’astronauta dimenticato è ancora vivo, si attivano per inviargli soccorsi. I pareri sono discordi, c’è chi si preoccupa delle reazioni dell’opinione pubblica e chi di studiare davvero come aiutarlo. Alla fine viene informata anche l’equipe della navetta che ha abbandonato Damon e sta tornando a casa. Detto fatto, il comandante inverte la rotta e punta di nuovo su Marte per recuperare il disperso. Cosa che avviene (almeno agli occhi di chi è profano di voli spaziali) in modo pacchiano e inverosimile. A dispetto di tutte le rassicurazioni della produzione del film sull’accuratezza scientifica.
Piacevole e costantemente tenuto su un registro leggero, al quale contribuiscono molte citazioni pop – a partire da Damon che nella sua solitudine spaziale rivede vecchi episodi della serie tv Happy Days e ascolta musica energetica, Abba e Gloria Gaynor –, un inno all’ingegnosità umana e a una generica collaborazione tra antagonisti politici (anche la Cina è coinvolta nel salvataggio). Insomma, fantascienza in rosa, senza alieni guerrafondai o inquietudini metafisiche. Uno di quei film spettacolari (ricostruite in Giordania e poi ritoccate al computer le scene sul pianeta Rosso) dai quali si esce rassicurati e contenti di aver passato due ore non ansiogene. Con il solito corollario necessario ai blockbuster di successo, cioè non solo un divo come protagonista ma un cast importante (qui Jessica Chastain, Kate Mara, Jeff Daniels, Sean Bean, Chiwetel Ejiofor) e l’immancabile 3D. Pur con qualche pasticcio di montaggio all’inizio, il racconto scorre veloce, l’identificazione nel protagonista che non perde mai la calma e non si dispera è automatica.
Meglio questo dichiarato divertissement di certi recenti sci-fiction cervellotici ed ermetici, a partire da Interstellar di Nolan. Ma dov’è finita la fantascienza specchio delle paure umane, quella letteraria di Ray Bradbury e Philip Dick e anche quella dei Replicanti con l’anima di Ridley Scott?
Un inno all’ingegnosità umana. E, con la tenacia del “buon americano”, il “sopravvissuto” se la cava anche su Marte
30 Settembre 2015 by