Un magma di saggi, articoli, recensioni. Trent’anni di storia narrativa. Sempre in prima linea. Cioè, Leonardo Sciascia

Sciascia, carabiniere a cavallo(di Andrea Bisicchia) Non vorrei essere irriverente nei confronti di Leonardo Sciascia, ma il valore del volume, pubblicato da Adelphi: “Fine del carabiniere a cavallo. Saggi letterari 1955-1989.”, credo lo si debba al curatore Paolo Squillacioti, le cui note, filologicamente accurate, ci permettono di conoscere le molteplici collaborazioni che Sciascia intrattenne con quotidiani, mensili, settimanali, benché altri studiosi, come Antonio Di Grado e Ivan Pupo, abbiano scandagliato “il mare di ritagli” che costituisce il magma incandescente dei saggi, delle recensioni, degli articoli sciasciani, tutti caratterizzati da impressioni personali, da continui raffronti, da citazioni, a testimonianza della vasta cultura che caratterizzava ogni suo intervento scritto.
Si va dal primo articolo, apparso sul Caffè politico-letterario: “Fine del carabiniere a cavallo”, ovvero fine di un’idea di ordine, non soltanto politico, ma anche letterario, per arrivare a Vincenzo Consolo, con una recensione, apparsa sul Corriere della Sera il 18 dicembre 1987. Il lettore potrà passare in rassegna circa trent’anni della storia narrativa, dato che Sciascia ci offre il ritratto, non solo di autori italiani come Calvino, Arpino, Pirandello, Borgese, Savinio, Bufalino, Brancati, ma anche di autori stranieri come Forster, Durrel, Andric’, Dumas, Marcuse, di tutti ci dà dei resoconti militanti.
Ecco la parola chiave , per Sciascia essere recensore significava lavorare sul campo, partecipare a quel che avveniva nel nostro patrimonio culturale. I suoi giudizi spesso trascendevano l’opera di cui si occupava per aprirsi a delle riflessioni personali, militanti, appunto. Per esempio, recensendo Calvino, Sciascia va alla ricerca delle fonti, delle suggestioni, degli apporti libreschi che stavano a base della trilogia: “I nostri antenati”, “Il cavaliere inesistente”, “Il visconte dimezzato”, romanzi d’avventure quotidiane che, a sua avviso, costituiscono il meglio della sua attività di scrittore. Recensendo “La suora giovane” di Arpino, egli si sofferma sulla novità di questo romanzo che non deve nulla ai conventi, considerati come teatro di vizi e oscenità, bensì al particolare momento sociale che costringe la protagonista a diventare suora senza vocazione, insomma a essere novizia in cerca di marito. Illuminante è il suo saggio sull’”Ulisse” di Joyce, romanzo apparso nel 1954, di cui Sciascia sottolinea l’importanza culturale, ma non quella poetica, dato che riteneva fosse assente “la grazia della poesia”, quella che avevano Manzoni e Bernanos, ma non certo Gide. A questo proposito, Sciascia fa una differenza tra scrittori che non sono più cattolici o che scrivono in funzione di non esserlo, oppure che non lo sono ancora.
Il curatore raggruppa questi scritti inserendoli in tre schemi: “Resoconti singolarmente militanti”, “Divagazioni sulla storia e la cultura europea”, “Ritratti complici di contemporanei”, utilizza parole chiavi, come resoconti, divagazioni, ritratti, per aiutarci a capire il metodo saggistico di Sciascia, sempre attento a coniugare passato e presente, realtà e finzione.

Leonardo Sciascia, “Fine del carabiniere a cavallo”, Saggi letterari (1955-1989) – a cura di Paolo Squillacioti – Adelphi Editore 2016 – pp. 246, € 23.