(di Andrea Bisicchia) La figura di Gianni Ratto (1916-2005), architetto e scenografo, è legata alla storia del Piccolo, alla sua nascita e agli anni più tempestosi della creatività di Strehler. Ad essa e alla su attività Pietro Boragina ha dedicato un volume di 800 pagine. Non si tratta di un libro accademico, benché, in fondo, lo sia per la ricca documentazione e per il materiale epistolare, spesso riportato per intero. Il titolo “Il mago dei prodigi” rimanda a uno spettacolo del Piccolo (1947), di cui Ratto curò la scenografia fatta di “preziose suggestioni”, come ebbe a scrivere Gian Maria Guglielmino su Sipario (agosto- settembre, 1947). Si trattava di un testo visionario, tradotto da Carlo Bo, fortemente simbolico e caratterizzato da una complessa macchina scenica.
Siamo agli inizi della Storia del Piccolo Teatro, inaugurato con “Le notti dell’ira” di Salacrou, ma che certificò il primo grande successo con “I giganti della montagna”, messi in scena, lo stesso anno, da Strehler, sempre col fedele Ratto, considerato scenografo d’eccezione, in un’impresa che si trasformò in atto d’accusa contro i “giganti” di allora, sordi al richiamo della poesia, con la nota carretta, non ancora stritolata, come nell’edizione del 1966, ma “esibita” alla gente, con Ilse vittima sacrificale.
Gli anni che vanno dal 1947 al 1954, furono alquanto intensi per il trio Grassi-Strehler-Ratto, anni di lavoro stressante e di continua ricerca artistica, che verranno offuscati soltanto nel 1951, in occasione della messinscena della “Dodicesima notte” , come si può intuire da un accorato epistolario tra Grassi e Ratto e tra questi e Strehler, dove si arrivò persino agli insulti e alle offese, cose, se vogliamo, abituali per chi fa o frequenta il teatro professionalmente. Del resto, si trattava di tre caratteri diversi, ciascuno pronto ad affermare la propria individualità.
Il volume di Pietro Boragina,attore, regista, pittore, premio Enriquez lo scorso anno, è molto ricco e costituisce la prima completa monografia dedicata a Gianni Ratto, che inizia dagli incontri con Gordon Craig e con l’architetto Mario Labò, suo maestro, per arrivare ai primi lavori presso il Teatro Sperimentale di Genova (1944), accanto a Elsa Abani, Ferruccio De Ceresa, Alberto Lupo, Lia Angeleri, Enrico Bassano, Giulio Cesare Castello, Carlo Maria Rietmann, Lele Luzzati, Alessandro Fersen. Seguono gli anni vissuti tra Milano, al Piccolo, e Genova, inseguendo un’attività frenetica che durerà fino al 1954, durante la quale, collaborò con il Teatro alla Scala, dove fu molto apprezzato da Antonio Ghiringhelli e da Nicola Benois, direttore degli allestimenti scenici, di cui divenne vicedirettore nel 1950. Partecipò a tutti i dibattiti sul rinnovamento del teatro italiano, concepì l’idea della scenografia come “personaggio”, ovvero come “amalgama” nel complesso dello spettacolo, fino a esserne assorbita e a coagularsi con la scrittura scenica, grazie all’apporto determinante della regia. Si mise contro i “fabbricanti di scene”, con lo stesso spirito con cui si mise contro i “fabbricanti di regie”, ritenendo la regia qualcosa di molto alto.
Pietro Boragina ne ricostruisce la storia familiare, quella degli studi, dei rapporti con gli altri teatri. Oltre a quelli citati, collaborò con Garinei e Giovannini per “Al Grande Hotel”, protagonista Wanda Osiris, fino al trasferimento in Brasile, a cui donerà tutta la sua esperienza, per rinnovarne la scena e renderla più europea, dove potrà realizzare meglio la sua “idea” di teatro, le sue forme pure, dove i segreti del palcoscenico, i suoi misteri, potessero avere il sopravvento sulle rivelazioni sensoriali, sull’ansia del successo e del prodotto ben confezionato.
Pietro Boragina, “IL MAGO DEI PRODIGI”, Aragno Editore 2015, pp 800, € 40