(di Patrizia Pedrazzini) – John Vogel è proprio un grande papà. Carismatico, sognatore, esaltante, avventuroso e un po’ folle, agli occhi della figlia prediletta, Jennifer, appare come un eroe, il solo in grado di farle immaginare una vita libera e anticonformista. Che la porti in barca sul lago a vedere i fuochi d’artificio, o la metta, ancora piccola, al volante dell’auto spronandola a guidare da sola, o le faccia ascoltare Chopin, la bambina ne è letteralmente innamorata. Perché “i momenti speciali dell’infanzia sono come le favole e nelle mie mio padre era il principe”.
Peccato che John Vogel sia anche altro: un uomo egoista, bugiardo e imbroglione, che vive una vita ai confini della legalità, irresponsabile e infantile, che promette ma non mantiene. Jennifer, da piccola, non lo sa. Lo capirà man mano crescendo, come capirà che la madre non per niente si è data all’alcol, anche se non avrebbe dovuto, ma forse non era abbastanza forte. Capirà le assenze del padre, i suoi problemi con i soldi, le sue fughe improvvise, gli espedienti, le altre donne. E ancora più e meglio lo capirà il giorno in cui un’assistente di Polizia la informerà, pacata e severa, che “suo padre ha stampato 22 milioni di dollari”. Ma il vedere finalmente il padre per quello che realmente è, cambierà Jennifer? Quando mai cuore e ragione hanno avuto qualcosa da spartire?
Tratto dall’autobiografia della giornalista e scrittrice Jennifer Vogel, “Una vita in fuga” è la storia di questo rapporto intenso e struggente, tenero e rabbioso. Fra un padre vero ma mai veramente cresciuto e una figlia che a fatica, e da sola, cerca di trovare una propria strada nella vita. Senza ripudiare né il proprio passato, né i propri sentimenti. Una bella storia, al limite dell’esemplare. Con qualche incrinatura.
Sean Penn, attore unanimemente considerato tra i più impegnati di Hollywood, ne è sia regista che interprete. La figlia Dylan, al suo esordio sul grande schermo, interpreta Jennifer (e in certi momenti, ma solo in certi, somiglia in modo impressionante alla madre, l’attrice Robin Wright, la “Jenny” di “Forrest Gump”), mentre il ruolo, decisamente secondario e marginale, del fratello minore di Jennifer, Nick, è affidato al secondo figlio di Penn, Hopper. Un film in famiglia, insomma. E fin qui, passi.
Il fatto è che, in “Una vita in fuga”, tutto, ma proprio tutto, è esageratamente bello. Ma anche, proprio per questo, al limite dell’eccessivo. A partire dalle musiche, di Eddie Vedder, fra le quali spicca il brano “My Father’s Daughter”, specchio perfetto del sentimento, più forte del dolore e degli errori, che lega la figlia al padre. Per non parlare della fotografia, del ricorso ai grandi primi piani, e ai colori caldi dei paesaggi rurali americani. Che fanno da cornice perfetta, fin troppo perfetta, a una storia fatta di troppo sentimento, troppi ricordi, troppa famiglia, troppo amore. Troppo risentimento e troppo dolore. Troppa America. Persino lui, John, non è nato in un giorno qualsiasi, ma il 14 giugno, il “Giorno della bandiera”, celebrato negli Stati Uniti con sfilate e cortei (e infatti il titolo originale del film è “Flag Day”).
Ma soprattutto, e sopra tutti, c’è lui. Sean Penn. Con le rughe scavate del volto che fa volutamente risplendere a ogni inquadratura, gli occhi di ghiaccio, la sigaretta perennemente incollata alle labbra, lo sguardo da bello e dannato. Campione di scaltrezza e di fascino. Antieroe con tante macchie e nessuna paura.
Insomma, un film per certi versi ridondante e saturo di indubbia vanità. Tanto che, nonostante i malcelati buoni propositi, non riesce veramente a commuovere. Tuttavia girato, e interpretato, alla grande. Una bella storia, che ha nel forte e tempestoso rapporto fra il padre e la figlia il vero punto di forza. E che per questo vale la pena di vedere.
Un padre, una figlia, un amore. Bello, struggente, vero, ma esagerato. E con, al centro, sempre e solo lui: Sean Penn
31 Marzo 2022 by