(di Marisa Marzelli) Luca Guadagnino non è profeta in patria. Mentre all’estero il regista siciliano incassa riconoscimenti importanti (il precedente Io sono l’amore, del 2009, è stato candidato al Golden Globe e ai Bafta inglesi come migliore film straniero e all’Oscar per i costumi), in Italia raccoglie facilmente stroncature e fischi. Anche A Bigger Splash, in gara all’ultima Mostra di Venezia, è stato maltrattato. Gli italiani lo accusano di filmare furbescamente come il pubblico anglosassone vuole continuare a vedere gli stereotipi sul cinema italiano.
Ma le cose sono forse un tantino più complesse. A Guadagnino piace ritrarre snobisticamente ambienti alto-borghesi raffinati e annoiati, certi intellettualismi patinati. Ciò non toglie che il suo modo di filmare sia ben realizzato, elegante, evocativo. Un altro suo o difetto o cifra stilistica – rilevabile sia in Io sono l’amore che in A Bigger Splash – sta nel virare bruscamente a due terzi del film, giungendo ad una conclusione poco convincente. Aggiungiamo che gli italiani (come del resto i pubblici di tutto il mondo) sono disposti ad accettare trame incredibili quando si tratta di ambientazioni sconosciute o esotiche, ma quando si parla di casa propria esigono realismo.
A Bigger Splash (titolo che si rifà al famoso quadro dell’esponente della pop art David Hockney) è in realtà un remake abbastanza libero di un celebre film: La piscina (1969) di Jacques Deray, interpretato da quella che all’epoca era una coppia regina del cinema europeo, Romy Schneider e Alain Delon. Spostata l’azione dalla Costa Azzurra a Pantelleria, cambiati vari dettagli ma mantenuti i nomi dei protagonisti, Guadagnino racconta come Deray la tensione erotica che cresce e alla fine esplode tra due coppie in vacanza. Qui ci sono una matura rockstar in convalescenza da un’operazione alle corde vocali e che quasi non parla (un’elegantissima e insondabile Tilda Swinton, musa ricorrente del regista) con il suo compagno più giovane, reduce dalla disintossicazione alcolica e da un tentativo di suicidio (l’attore belga in ascesa Matthias Schoenaerts). I due si godono in pace una vacanza nella villa prestata da un amico quando la loro tranquillità va all’aria per l’arrivo di un vulcanico produttore discografico, storico manager ed ex della cantante (Ralph Fiennes, in un’interpretazione esuberante fuori dal suo abituale à plomb britannico), accompagnato da una Lolita che dice essere sua figlia (Dakota Johnson, figlia di Don Johnson e Melanie Griffith, diventata famosa con Cinquanta sfumature di grigio). Fiennes sembra voler riconquistare la Swinton, con grande insofferenza di Schoenaerts, che comunque mette gli occhi sulla ragazza. Tra bagni nudi in mare e in piscina, mangiate di pesce e di ricotta fresca, una processione in paese, apparente convivialità e remoti rancori che montano, ci scappa il morto.
Sin qui tutto più o meno funziona come nel miglior cinema degli stranieri snob in trasferta vacanziera nel Mediterraneo, dove si godono il sole e vivono in un mondo loro, ignorando i locali. Ma a questo punto la sceneggiatura del film inserisce l’elemento incongruo che ha fatto arrabbiare la critica italiana. A Pantelleria, come a Lampedusa, ci sono i migranti, che dapprima finiscono nella inquadrature quasi per caso. Ma quando interviene il maresciallo incaricato dell’indagine sul delitto (un improbabile e macchiettistico Corrado Guzzanti), la Swinton pensa bene (anzi, male) di istillargli il dubbio che il colpevole potrebbe essere uno dei clandestini sull’isola. Nonostante Guzzanti le risponda con un politicamente corretto: “li abbiano già offesi molto, questo non potrà offenderli di più” che lascia intendere come il carabiniere abbia capito dove andrebbe cercato l’omicida, alla fine non indaga e si limita a chiedere alla rockstar un autografo.
Montalbano non apprezzerebbe per nulla.
Ma se La piscina di Deray aveva tra gli sceneggiatori un fuoriclasse come Jean-Claude Carrière, A Bigger Splash è ben lontano dal raggiungere quel livello di scrittura.
Un patinato snobismo, elegante ed evocativo, tanto amato all’estero, ma che proprio non va giù alla critica italiana
25 Novembre 2015 by