MILANO, venerdì 13 ottobre ► (di Paolo A. Paganini) Nel 1973, assaggiammo la prima volta “L’anatra all’arancia”, tipica ricetta della cucina francese, confezionata da W. Douglas Home e cotta per il teatro boulevardier da M. Gilbert Sauvajon, con Alberto Lionello e Valeria Valeri.
Poi, nel 1975 venne servita sugli schermi da Luciano Salce, con Tognazzi, Vitti e Barbara Bouchet, dalle generose procacità, unica rimembranza degna di nota d’un filmetto goderecciamente disinvolto, che non meritò più di una stelletta.
L’anatra in questione era il pasto che una novella coppia di sposi aveva degustato durante il viaggio di nozze. Poi, in venticinque anni di non proprio onorato servizio, il matrimonio si era via via sfaldato sotto i cedimenti inesorabili della noia e dell’abitudine. Lui se li era felicemente risolti in avventure e avventurette, mentre lei, ora, era innamorata d’un giovane di belle e cospicue speranze, che addirittura intendeva sposarla. Ma, qui, il marito conscio tutto sommato di perdere l’amato bene, farà di tutto per riaverla. E organizza una memorabile serata con la propria adorata consorte, con il suo amante, e la propria bella e disponibile segretaria. Dobbiamo proprio dire come andrà a finire?
Fin dalle prime battute è facile intuire come la storia si concluderà. E, d’altra parte, la stessa storia non è altro che un pretesto per un frenetico e serrato spettacolo pirotecnico di battute irresistibili. Almeno all’inizio. Poi l’edificio si piega su se stesso, quando la storia vira sul melodramma, diventando un glorioso panegirico di buoni sentimenti, di apologetica difesa del matrimonio e dei poveri figli che sarebbero lasciati a se stessi travolti dal disfacimento della famiglia.
Tutto questo risulta ora nell’ultima versione del capolavoro di Sauvajon, con qualche ponderosa variante operata dal talentaccio di Luca Barbareschi, che, in coppia con Chiara Noschese, ha portato al Teatro Manzoni, a inaugurazione della stagione, una super-oliata commedia in piedi fin dall’anno scorso.
Già di suo esilarante come una delle massime espressioni comiche d’un teatro leggero, tutto appoggiato sulla battuta raffinata e travolgente, la versione di Sauvajon è stata riveduta e corretta dallo stesso Barbareschi, che, anche come regista, ne ha deliberatamente fatto una tipica commedia all’italiana, più vicina al film di Salce che alle raffinatezze d’un rispettoso succitato Alberto Lionello.
Ma Barbareschi sembra aver capito tutto dei gusti addominali e digestivi d’un pubblico avvezzo ai fasti e nefasti televisivi. Tutti felici e contenti, si sono avventati sulla povera “Anatra” in una incontenibile e insaziabile voglia di risate. Parola d’ordine: ridere ridere ridere. E sono stati tutti serviti a puntino. Barbareschi, in quasi due ore e mezzo di spettacolo, con un intervallo, presenta il repertorio di tutte – si per dire – le possibili forme drammaturgiche della comicità, dalla commedia all’umorismo, dall’ironia ai lazzi della commedia dell’arte, dalla derisione alla clownerie, da un’accennata Slapstick Comedy a una canzonatoria demolizione del povero e malcapitato amante della moglie che qui – mah – diventa un ricco principe russo residente in Lucania con mammà. All’umorismo sbracato di Barbareschi fa da felice contraltare la naturale spontaneità comica di Chiara Noschese. Risate a non finire e applausi anche a scena aperta.
“L’anatra all’arancia”, dal testo The Secretary Bird di William Douglas Home, versione francese di Marc Gilbert Sauvajon, traduzione di Luca Barbareschi. Con Luca Barbareschi, Chiara Noschese, Ernesto Mahieux, Gerardo Maffei, Margherita Laterza – Al Teatro Manzoni, Via Manzoni 42, Milano. Repliche fino a domenica 29 ottobre