Un Realismo così realistico da essere inquietante. Spettrale, magico. In 80 capolavori la pittura italiana fra le due guerre

Fritz SIlberbauer, “Mio figlio”, 1926, tempera su tavola

MILANO, martedì 19 ottobre (di Patrizia Pedrazzini) Realismo magico. Quasi un ossimoro.
Di fatto, la perfetta definizione che il critico d’arte di Monaco di Baviera Franz Roh, in un saggio sulla pittura tedesca contemporanea pubblicato nel 1925, ideò per il fenomeno artistico di portata transnazionale che caratterizzò l’intervallo fra le due guerre mondiali.
Una modalità espressiva che, depurata dalle tensioni del Futurismo e dell’Espressionismo, lavorò alla resa di un’immagine nuova, “algida, tersa, indagata nei più minimi dettagli, talmente realistica da rivelarsi inevitabilmente inquietante e straniante”.
Così Gabriella Belli e Valerio Terraroli, curatori della mostra “Realismo Magico. Uno stile italiano”, a Palazzo Reale fino al prossimo 27 febbraio.
Più di ottanta capolavori chiamati a testimoniare un momento preciso dell’arte italiana (circoscritto, nella fase più originale, fra il 1920 e il ’35), nonché un periodo storico-artistico a lungo oggetto di una sorta di “damnatio memoriae”, per l’ovvia contemporaneità con l’affermarsi del Ventennio fascista.
Ma sono le opere esposte a fare il punto della situazione e a “parlare”. Con quel tanto di vero e insieme di metafisico, di naturale ma anche di surreale, non di rado di spettrale, che le accompagna tutte.
Il “Ritratto di Silvana Cenni” di Felice Casorati e “L’ottobrata” di Giorgio de Chirico, “Le figlie di Loth” di Carlo Carrà e i “Giocatori di carte” di Gino Severini., con il loro originale e tutto italiano “ritorno all’ordine”. E Antonio Donghi, Ubaldo Oppi, Achille Funi, la raffinata Edita Broglio. E ancora Mario Sironi. Fino al capolavoro “Dopo l’orgia” di Cagnaccio di San Pietro, presente nell’esposizione milanese con un cospicuo numero di lavori.

Antonio Donghi, “Donna al caffè”, 1931, olio su tela (fotopat)

Una mostra che è tuttavia ben lontana dal limitarsi ai confini nazionali, ma che anche centra, fra i non pochi obiettivi che si prefigge, quello di documentare la profonda relazione con la cultura della Germania degli anni Venti (e prima parte dei Trenta) e con la sua Neue Sachlickheit, la “Nuova Oggettività” tedesca.
Un esempio per tutti, nella sala intitolata “La stanza dei giochi è vuota” (caratterizzata da un’interpretazione inquietante e volutamente deformata del tema dell’infanzia), il raffinatissimo “Mio figlio” (1926), del neo-oggettivo Fritz Silberbauer. Occhi di bambini che hanno la consapevolezza esistenziale degli adulti: dura, feroce, e insieme sola, indifesa, come quella delle loro madri.
Il tutto senza dimenticare un altro intreccio che caratterizza i rapporti del Realismo Magico con il mondo artistico dell’epoca: quello con i destini di “Novecento”, il gruppo milanese creato da Margherita Sarfatti, critica d’arte di primissimo piano (conosciuta anche per la sua relazione con il giovane Benito Mussolini).
Una mostra di grande rilievo, che non da ultimo si prefigge di rendere adeguato riconoscimento al grande gallerista Emilio Bertonati, e soprattutto alla sua intuizione di dar corpo a una collezione privata emblematica dei capolavori del Realismo Magico. Che l’esposizione di Palazzo Reale, insieme a opere provenienti da altre collezioni e da musei, presenta per la prima volta integralmente al pubblico.
Da non perdere.

“Realismo Magico. Uno stile italiano”, Milano, Palazzo Reale, fino al 27 febbraio 2022
www.palazzorealemilano.it